Alberto Maria Fontana: una vita in panchina!

Eccoci arrivati al consueto appuntamento del giovedì con la storia dei numeri uno, non sempre grandi tra i pali, ma tutti con una storia da raccontare, perché il portiere è quasi sempre il più bizzarro della compagnia.

E quello che andiamo a presentarvi oggi un po’ strano lo è davvero, visto che nella vita ha quasi sempre fatto il “dodicesimo” di professione, neanche avesse davanti a sé gente che di nome fa Dino Zoff o Gianluigi Buffon.

Il secondo a vita risponde al nome di Alberto Maria Fontana, trentaquattrenne portiere del Torino, tifoso dei granata da quando era un ragazzino ed amava buttarsi a terra, sognando di emulare Bacigalupo o Walter Zenga, che granata non era, ma che per lui rappresentava il mito assoluto nel ruolo.

Walter Zenga: dai pali alla panchina!

Dalla solitudine tra i pali al freddo di una panchina la strada è lunga, ma Walter Zenga ha dimostrato negli anni di potersela cavare in entrambi i ruoli. La sua marcia di avvicinamento al professionismo cominciò tra i pulcini dell’Inter, quando a soli 10 anni venne scelto da Italo Galbiati per difendere una porta ancora troppo grande per lui.

Ma Walter aveva tutte le qualità per arrivare in alto, se è vero che il club con il quale giocava precedentemente (la Maccalesi), aveva contraffatto la data di nascita sul suo cartellino, pur di farlo giocare con i ragazzi più grandi.

All’Inter divideva il suo tempo tra le partite nelle giovanili e il “mestiere” di raccattapalle a San Siro, pretendendo di stare sempre dietro la porta di Bordon, suo mito e futuro collega.

Cesare Prandelli concede il bis: miglior allenatore

Poteva vincerlo Mancini, tecnico dell’Inter dello scudetto finalmente conquistato sul campo, a quasi vent’anni di distanza da quello lontanissimo del 1989, poteva vincerlo Ancelotti, allenatore del Milan dei miracoli campione d’Europa e del Mondo, e invece il premio come miglior allenatore è finito per il secondo anno consecutivo nelle mani di Cesare Prandelli.

La soddisfazione poi è doppia se si considera che a votare non erano i giornalisti che, senza offesa per nessuno, potrebbero non capirci granché di schemi e tattica, ma gli stessi suoi colleghi, che evidentemente ne apprezzano le doti professionali.

E Cesare di pallone ne capisce, avendo calcato per anni i campi di calcio, sin dall’esordio in C1 con la maglia della Cremonese, quando guadagnava 50.000 lire al mese: un vero tesoro per lui che, orfano di padre, doveva provvedere alla famiglia. Poi una carriera in crescendo con l’Atalanta, che lo fece esordire in serie A, prima di cederlo alla Juventus, squadra con cui vincerà praticamente tutto quello che c’era da vincere (3 scudetti, 1 Coppa dei Campioni, 1 Coppa delle Coppe, 1 Coppa Italia ed 1 Supercoppa europea). Erano anni d’oro per la Vecchia Signora, un po’ meno per lui che veniva spesso relegato in panchina, con poche possibilità di mettersi in mostra.