Gordon Banks: una parata per la storia!

Quella parata su Pelé fu la migliore della mia carriera. Non immaginavo sarebbe diventata così famosa. Anzi, al momento non mi accorsi neppure di quel che avevo fatto.

Era il 1966. L’Inghilterra ed il Brasile incrociavano le loro strade nel cammino che conduceva alla seconda fase del Mondiale. Tra i verdeoro giocava un certo Pelè, già due volte campione del mondo. Ma l’Inghilterra di quell’anno era costruita per fare la migliore figura possibile davanti al pubblico di casa, alla ricerca di quel titolo che non aveva mai vinto.

In porta giocava Gordon Banks, portiere trentunenne appena ceduto dal Leicester allo Stoke City, a causa di un capriccio del suo secondo, Peter Shilton, che fece includere una clausola sul contratto, che obbligava il club a schierarlo titolare. Banks si ritrovò fuori squadra, nonostante fosse il miglior portiere inglese di quei tempi, forse di tutti i tempi, nonostante fosse il numero uno della nazionale, nonostante avesse ancora molto da dare al calcio.

Peter Shilton, il recordman del calcio!

Dura la vita del portiere, lì in mezzo ai pali, a sopportare i rigori invernali (nel senso del freddo) e il solleone che picchia. Sempre solo, destinato a guardare gli altri mentre si divertono e a raccogliere la palla in fondo alla rete. Pochi applausi, molte critiche, in un ruolo in cui è impossibile non sbagliare almeno una volta e quella volta che diventa una macchia sul curriculum, una papera difficile da cancellare, sottolineata più dell’errore di qualunque altro calciatore.

Si comincia a giocare in porta perché si hanno i piedi scarsi e poca attitudine al gol, poi si può crescere e migliorare, dimostrando di poter trasformare in professione, quella che all’inizio era una forzatura. E si può diventare campioni, grandi campioni, in grado di raggiungere record invidiabili, soprattutto nel numero di presenze, perché il portiere, si sa, può allungare la carriera fino alla maturità.

Chiedete a Peter Shilton, per esempio, vero recordman del calcio internazionale e detentore di un primato difficilmente raggiungibile: 1390 partite giocate, dicono le statistiche! Fate due conti, considerando quante gare si possono giocare in anno, e vi renderete conto che il suo nome resterà stampato sul libro dei Guinness per l’eternità.

Paolo Maldini fa 1000 ed entra nella leggenda!

C’era una volta… Così dovrebbe cominciare questa storia, che somiglia tanto ad una favola degna della penna dei fratelli Grimm. Più di 20 calendari sbiaditi, ingialliti, consumati da un tempo che tutto trascina e tutto cambia. O quasi.

Era un freddo gennaio di 23 anni fa, quando in quel di Udine, un difensore (Battistini) uscì dolorante dal rettangolo di gioco, mettendo in apprensione il Barone, che aveva in panchina un sedicenne figlio d’arte ed un terzino tutto muscoli e corsa. “Ferro, scaldati!” urlò Liedholm all’indirizzo di Stefano Ferrari, ma poco dopo tornò sui suoi passi, gettando nell’arena il piccolo Paolo Maldini. Era un freddo gennaio di 23 anni fa ed iniziava la carriera di un mito!

Sono trascorsi 8427 giorni da quel 20 gennaio 1985, la temperatura è la stessa, come il colore della maglia indossata. Cambia il teatro, la scenografia, le comparse chiamate a circondarlo, ma lui è sempre lì, a raccogliere applausi per la millesima volta.

Maradona si scusa con l’Inghilterra. Anzi, no!

Bufera Maradona, tanto per cambiare. Ha smesso da anni di correre dietro ad una pallone, eppure riesce ancora a far parlare di sé, a far discutere per le sue esternazioni spesso malviste e criticate.

Stavolta non si parla di scandali e droga, né di squalifiche e litigi con i giornalisti che lo braccano e gli impediscono di vivere serenamente la sua esistenza. Stavolta si tratta di uno dei tanti momenti rimasti indelebili nella mente dei tifosi di mezzo mondo, di una delle istantanee che hanno contribuito a creare un mito: la Mano de Dios.

Inutile ricordare quella partita che ci consegnò la versione più furba del Diego Armando calciatore, seguita da lì a poco da quel capolavoro di tecnica, che stabilì per molti la conclusione dell’eterno enigma: meglio Pelè o Maradona? I difensori saltati uno dopo l’altro come birilli davano finalmente una risposta, per buona pace di chi si ostina a voler mettere a confronto calciatori di epoche diverse e quindi non paragonabili.