L’ultimo saluto a Enzo Bearzot (gallery)

Foto: AP/LaPresse

Una cerimonia semplice ha accompagnato l’addio di Enzo Bearzot, morto un paio di giorni fa dopo una lunga malattia. Semplice la cerimonia, come semplice era l’uomo, uno che non si è mai comportato da primo della classe, pur essendo consapevole dell’immenso obiettivo raggiunto.

Poteva prendersene di rivincite il Vecio all’indomani di quell’11 luglio del 1982, allorché la sua nazionale sollevava la Coppa del Mondo nel catino infernale del Santiago Bernabeu, dopo che critici, stampa, tifosi si erano accaniti contro quel gruppo. Ma Bearzot era fatto così e le sue rivincite se le è prese solo sul campo, accettando poi l’idea che in molti saltassero sul carro dei vincitori pur non avendone il diritto.

Enzo Bearzot nel ricordo dei suoi campioni del mondo

Foto: AP/LaPresse

Immagini in bianco e nero, sbiadite dal tempo, curiose se confrontate con quelle degli eroi moderni. Immagini che però hanno un immenso significato per chi come me ha vissuto quelle emozioni assolutamente uniche ed irripetibili, mentre quegli undici leoni salivano sul tetto del mondo in barba ad ogni pronostico.

Immagini che oggi tornano più vive che mai, perché Enzo Bearzot, condottiero di quell’Italia Campione del Mondo se ne è andato per sempre. Non se ne va però il suo ricordo, il ricordo di un Vecio che ha saputo trasformare una squadra “normale” nella compagine più forte di quel torneo. Quei ragazzi oggi sono uomini di mezza età, ma ricordano il Vecio con nostalgia, sottolineando le sue qualità umane.

E’ morto Enzo Bearzot

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Correva l’anno 1982, uno dei periodi che ricordo con maggiore nostalgia, sportivamente parlando. La comitiva azzurra partiva per la canicola spagnola accompagnata da mille polemiche sulle scelte del ct Enzo Bearzot. Uno dei tanti dubbi dei 50 milioni e passa di allenatori (in terra italica siamo un po’ tutti ct in occasione delle grandi manifestazioni internazionali) era la chiamata di Paolo Rossi, appena rientrato da una lunga squalifica legata al calcio-scommesse, e la contemporanea esclusione di Roberto Pruzzo, che pure in quella stagione aveva conquistato il titolo di capocannoniere.

Polemiche che si infiammarono ancor più alla luce dei tre pareggi nel girone eliminatorio e del ripescaggio per differenza reti, mentre il centravanti titolare non metteva a segno neppure una rete, lasciando l’incombenza a Graziani e Conti, autori sino ad allora delle uniche due reti italiane nel Mundial spagnolo.