Gigi Riva: Rombo di Tuono!

Lo chiamavano Rombo di tuono per la potenza del piede sinistro, capace di tirare botte da 140 km/h. Grande Gigi Riva, anzi Gigirriva, come lo chiamavano nella sua terra d’adozione, in quella Sardegna dove non voleva andare e che diventò alla fine la sua seconda casa.

Da adolescente lo cercava l’Inter, squadra per la quale faceva il tifo, arrivando addirittura a convocarlo per il provino di rito, ma i dirigenti del Legnano preferirono dirottarlo verso Cagliari per 37 milioni di lire.

Il giovane Riva non avrebbe voluto trasferirsi in terra sarda. Ancora oggi ricorda quel viaggio verso Cagliari e la sensazione di finire in Africa. Ma il periodo di ambientamento durò lo spazio di un attimo e di lì a poco si ritrovò ad essere il beniamino del pubblico di casa, ammirato e amato da tutti. Quando il Cagliari giocava a Milano o a Torino cinque o seimila isolani scendevano dalla Svizzera, dalla Germania e dalla Francia per seguire le imprese di questo sardo d’adozione che ha fatto grande una squadra di provincia.

Giacinto Facchetti: un terzino nato attaccante

Difficile per un calciatore nato attaccante essere arretrato al ruolo di terzino, ma Helenio Herrera non per niente veniva definito “Mago” e per Giacinto Facchetti prevedeva un futuro speso a correre dietro agli attaccanti avversari, a menar pedate per togliere il pallone dai piedi altrui.

L’avventura di Giacinto Magno, come lo chiamerà poi Brera, comincia proprio con un cambio di posizione in campo e quello spilungone abituato a buttarla dentro per la causa della Trevigliese si ritrovò improvvisamente terzino con licenza di offendere.

Correva la stagione ’60-’61 ed il ragazzo all’esordio contro la Roma non fece un’ottima impressione sugli addetti ai lavori, che già si chiedevano cosa avesse potuto convincere il Mago a portarlo a Milano. Ma Herrera aveva l’occhio lungo e sapeva che Facchetti sarebbe diventato una colonna fondamentale della sua Inter.

Storia degli Europei: Belgio 1972

Trentadue squadre divise in otto gironi: questa la formula inventata dagli organizzatori dell’Europeo 1972 per decidere le partecipanti alla fase finale. L’italia si presentava da campione in carica , ma il 4-1 subito dal Brasile nei Mondiali messicani di due anni prima, ne aveva ridimensionato le ambizioni.

Sulla panchina ancora Ferruccio Valcareggi, ritenuto responsabile numero uno della sconfitta in Messico, con quella staffetta Mazzola-Rivera mai completamente gradita al pubblico nostrano, tanto che al rientro la comitiva azzurra venne accolta da pomodori e fischi.

L’Europeo del ’72 doveva rappresentare l’occasione del riscatto, in un’epoca in cui l’Italia aveva grandi mezzi per dominare a livello continentale. Nel girone di qualificazione ci toccarono Austria e Svezia, vere insidie per il gioco degli azzurri, oltre all’Irlanda, cenerentola del girone e destinata a presentarsi solo come comparsa.

Storia degli Europei: Italia 1968

Finalmente Italia! Dopo un Campionato Europeo non disputato ed uno che ha visto la nostra nazionale transitare alla velocità della luce, con una prematura e cocente eliminazione da parte dell’Urss, ecco arrivare la manifestazione del 1968, da giocarsi fino in fondo con l’apporto di grandissimi talenti.

Ma andiamo per ordine, partendo dalle qualificazioni, in cui eravamo inseriti nel girone di Svizzera, Cipro e Romania. Nessun problema contro gli elvetici ed i ciprioti, mentre con la Romania fu più difficile del previsto. L’assenza di Picchi si rivelò determinante per la formazione azzurra che a Sofia fu infilata tre volte, allontanando i sogni di qualificazione alla fase finale.

Per nostra fortuna Domenghini, Prati e Rivera erano in giornata di grazia e riuscimmo a limitare i danni, concludendo la partita sul punteggio di 3-2. Al ritorno fu tutta un’altra musica e l’Italia conquistò il passaggio del turno con un secco 2-0.

Dino Zoff: il numero 1 assoluto!

Mito: termine usato spesso a sproposito nel mondo del calcio per definire questo o quel calciatore che ci sa fare un po’ più degli altri con il pallone tra i piedi. Ma il titolo di mito bisogna guadagnarselo sul campo e nessuno come lui è riuscito così bene nell’intento di restare stampato nalla memoria dei tifosi.

Dino Zoff, classe 1942, interprete di un calcio in continua evoluzione, attraversato da decenni di gloriosa carriera. In pochi avrebbero scommesso su di lui, su quel ragazzino esile, che per mantenersi faceva il meccanico e giocava per puro diletto. Lo scartarono Juventus ed Inter, giunte fino in Friuli per osservare questo portierino in azione, ma l’occasione di riscatto gliela offrì l’Udinese, facendolo esordire giovanissimo in serie A.

Inizio in salita per lui, con 5 gol beccati all’esordio contro la Fiorentina ed un pubblico ostile pronto a sottolineare qualunque suo errore. Poi il Mantova per 4 anni e finalmente Napoli, città rumorosa, aperta, molto lontana da quel suo carattere chiuso e serioso. Eppure fu amore a prima vista e Dino diventò in fretta uno degli idoli di quella squadra che pure vantava la presenza di campioni come Sivori e Altafini, Canè e Bianchi.