Premier League: Liverpool al settimo cielo, strepitoso Hull City

Nel weekend di Premier ne succedono di tutti i colori. Prima di tutto il Chelsea viene sconfitto in casa e perde l’imbattibilità tra le mura amiche dopo 4 anni. Di questa gara vi abbiamo già raccontato ieri. Ciò che invece ancora non vi avevamo raccontato sono i 3 gol che l’eccezionale Hull City ha rifilato al povero WBA, che sembrava uscito dalla crisi. Con questo 0-3 l’Hull aggancia al secondo posto niente di meno che lo stesso Chelsea, ed entrambe vedono il Liverpool prendere il volo, a tre punti dalle inseguitrici.

I campioni in carica invece si fanno fermare ancora una volta in trasferta, tra l’altro dall’Everton, che quest’anno non è di certo la squadra più temibile del campionato. Cristiano Ronaldo sbaglia l’impossibile, e ha sulla coscienza i due punti persi dalla sua squadra, che ancora una volta manca l’aggancio all’Europa.

Premier League: Liverpool e Chelsea, fuga in coppia

Il Chelsea batte la cabala. La serie negativa che lo vedeva mai vincitore contro l’Aston Villa negli ultimi 3 anni e i numerosi infortuni (mezza squadra è in infermeria), non fermano i Blues, che pur incerottati si liberano 2-0 dei Villans e mantengono il primo posto, nonostante gli attacchi del Liverpool. I Reds sono una squadra nuova, non ha problemi ad affrontare squadre più forti sulla carta, ma soprattutto ha ritrovato quel carattere che le è servito per vincere la Champions League qualche anno fa.

E’ praticamente un’altra squadra quella di Rafa Benitez, ben lontana da quella dei mille problemi dello scorso anno, e lo dimostra nell’ultima gara di campionato, quella vinta ieri a Manchester contro il City che conosce la prima vera crisi da quando è stata rilevata dal gruppo arabo.

Premier League: Cristiano Ronaldo ritrova il gol

Giornata di derby anche in Premier League. In terra inglese in quest’ultima giornata si sono tenuti due stracittadine, quella di Liverpool e una delle tante della città di Londra. Ma le notizie di giornata sono due: il ritorno al gol dopo l’infortunio di Cristiano Ronaldo (anche se per adesso solo su rigore), e il tonfo clamoroso dell’Arsenal in casa contro l’Hull City.

La squadra di Wenger, forse troppo distratta dalla preparazione per la gara di Champions League o dal pensiero che l’Hull City fosse una matricola, e quindi non pericolosa, si adagia sugli allori, soprattutto dopo l’autorete di McShane che pare consegnare i tre punti ai Gunners. Ed invece un uno-due terribile ribalta le sorti della partita, e il tramortito Arsenal perde partita e primato, in favore di Chelsea e Liverpool.

Premier League: esplode Di Michele, doppietta all’esordio

Il Chelsea fa 85. A tanto ammonta la striscia positiva della squadra di Abramovich davanti al proprio pubblico, una serie di risultati positivi che rischiava di essere interrotta dal coreano Park Ji-Sung, che nel big match dello Stamford Bridge portava in vantaggio il suo Manchester United che avrebbe meritato la vittoria per aver sprecato una quantità impressionante di palloni.

Ma un pò Cech, un pò l’imprecisione, ma alla fine gli sbagli si pagano, e a 9 minuti dal fischio finale Salomon Kalou risolve la gara pareggiando, dopo essere entrato nella ripresa. Si salva quindi l’invidiabile record dei Blues, ma soprattutto il posto in Champions. Il primato adesso spetta all’Arsenal, vittoriosa 1-3 in casa del Bolton, ma il Chelsea mantiene almeno il secondo posto e a distanza di sicurezza i Red Devils (6 punti).

West Ham ancora senza mister

Vigilia di Croazia-Inghilterra particolarmente infuocata e non solo perché gli inglesi sono stati estromessi dall’ultima kermesse europea proprio per mano dei croati, ma soprattutto per la vicenda che riguarda il mister dei biancorossi, Slaven Bilic, corteggiato da una delle squadre della Premier League.

A sentire il Daily Mail, proprio per oggi è previsto un incontro tra Bilic ed l West Ham, alla ricerca di un valido allenatore dopo le dimissioni di Alan Curbishley. La Federazione Croata minaccia denunce ai danni del club inglese, che pur di avere Bilic sulla panchina, sarebbe disposto ad accettare di dividere le sue prestazioni con la nazionale del suo Paese.

Nei giorni scorsi il tecnico croato si era detto interessato ad intavolare una trattativa con il West Ham, chiedendo però di poter discutere dell’affare solo dopo la gara tra la sua nazionale e l’Inghilterra. Ora di fronte alla minaccia della federazione, Bilic non può far altro che tirarsi fuori dalla lista dei mister richiesti dal West Ham, dichiarando senza mezzi termini che non ha intenzione di muoversi.

“Usa ’94 fu falsata”, parola di Lennart Johanson

Quando si dice “a pensar male si fa peccato, ma ogni tanto ci si azzecca“. A parlare è Lennart Johanson, ex presidente dell’Uefa dal 1990 al 2007, poi sostituito da Michel Platini. Si toglie qualche sassolino dalla scarpa il dirigente svedese, anche se con debito ritardo, non si sa mai.

Secondo Johanson, durante il mondiale di Usa ’94 si fece di tutto per aiutare il Brasile a vincere la coppa, e il principale responsabile di tutto ciò fu Joao Havelange, presidentissimo Fifa durante la manifestazione, e guardacaso, brasiliano. Non solo gli scandali di Corea e Giappone del 2002 di Moreno e soci, o gli “aiuti” alla Francia che giocava in casa nel ’98, adesso anche i verdeoro, che certo di aiuti non ne avevano bisogno, hanno i loro scandali.

Italia-Nigeria 2-1: il riscatto del Divin Codino!

Era il 5 luglio del 1994. Un’estate torrida, impensabile giocare a pallone sotto il sole cocente del primo pomeriggio. Eppure in quel Mondiale si decise di anticipare le partite a ridosso dell’ora di pranzo, per garantire la visione in un’ora “accettabile” nel Vecchio Continente.

Quel giorno a Boston si giocava Italia-Nigeria, valida per gli ottavi di finale, con gli azzurri che arrivavano da ripescati tra le migliori terze classificate, mentre gi africani da primi nel proprio girone, davanti alla Bulgaria.

L’Italia non era al top della forma (impossibile esserlo nella calda estate americana) e nemmeno nella formazione migliore, avendo perso per strada il capitano, Franco Baresi (frattura del menisco) ed il portiere, Gianluca Pagliuca, espulso nella gara contro l’Eire. Per contro la Nigeria non aveva grossi problemi da risolvere, se non quello di dimostrare ancora una volta di essere la vera sorpresa di USA ’94.

Storia degli Europei: Inghilterra 1996

Formula completamente rinnovata per il Campionato Europeo del 1996. Per la prima volta vengono ammesse 16 squadre alla fase finale, in una sorta di mini mondiale. Sempre qualificata di diritto la nazionale padrona di casa, in questo caso l’Inghilterra, che organizzerà l’evento al grido di Football Comes Home (Il calcio torna a casa).

I gironi di qualificazione prevedevano la presenza di ben 48 formazioni, divise in otto gruppi da sei squadre (nel gruppo 3 solo cinque), dai quali dovevano uscire le 16 regine che si sarebbero date battaglia in terra inglese.

L’Italia stavolta era presente alla manifestazione continentale, sotto la guida di Arrigo Sacchi, già mister degli azzurri nel Mondiale americano di due anni prima, conclusosi con la deludente sconfitta ai rigori contro il Brasile Tetracampeao.

Donadoni rifiuta il rinnovo del contratto

Donadoni alza la voce e rifiuta condizioni per il suo contratto. Il mite tecnico di Cisano Bergamasco per la prima volta nella sua carriera usa toni forti e impone le sue regole.
A chi diceva che non era un tecnico di polso, consigliamo di fare due chiacchiere con Abete e vediamo se è ancora dello stesso parere.

Ciò che il boss della Federcalcio voleva imporre al c.t. è un prolungamento del contratto fino al 2010, a condizione che ai prossimi europei l’Italia arrivasse almeno in semifinale.
A quel punto Donadoni ha perso le staffe e ha detto un deciso no a qualsiasi condizione che gli possa togliere serenità, e di conseguenza toglierla anche al gruppo che lo seguirà in Austria e Svizzera.

Da Baggio a Totti: quanta solidarietà nel calcio!

“Tutti insieme per Neurothon”: questa la scritta impressa su uno striscione che ha accompagnato ieri l’ingresso in campo di Juventus e Torino, nell’ambito dell’iniziativa, che intende promuovere e sostenere il progetto “L’officina del cervello”. Un sms per finanziare la ricerca sulle cellule staminali celebrali, affinché si possa trovare una cura per malattie tuttora incurabili, come ad esempio il Morbo di Gehrig, noto per aver provocato la morte di numerosi sportivi.

Calcio e solidarietà, dunque, ancora insieme, a dimostrazione del fatto che sarà pure un mondo dove l’interesse economico viene prima di ogni altra cosa, ma quando c’è da dare il proprio contributo per una buona causa, non si tira mai indietro, facendo valere le ragioni del cuore. Ed è per questo che le grandi associazioni umanitarie offrono sempre più spesso ai calciatori il ruolo di testimonial o di ambasciatori, chiedendogli di impegnarsi in prima persona a sostegno delle varie iniziative.

Di esempi se ne potrebbero fare a centinaia, partendo dall’Unicef, che vanta tra i propri Goodwill Ambassadors nomi come Gianfranco Zola, Paolo Maldini, Francesco Totti e David Beckham. Calciatori molto rappresentativi, che prestano la propria immagine per sostenere numerose iniziative a favore dell’infanzia.

Gianfranco Zola: la fantasia al potere

Grande, grandissimo, nonostante l’altezza dica il contrario. Un numero 10 puro, di quelli che una volta venivano definiti fantasisti e che oggi si preferisce chiamare rifinitori. Ma Gianfranco Zola fantasista lo era davvero, figlio di quella generazione che tanti ce ne ha fatti vedere, ma pochi come lui.

Piedi buoni e classe da vendere, dribbling ubriacanti e punizioni da manuale del calcio, accellerazioni palla al piede da far arrancare qualunque difensore: è questo il ritratto di un uomo che ha dato molto al calcio, più di quanto abbia ricevuto in cambio.

Comincia a giocare nella sua Sardegna, prima nella Nuorese poi nella Sassari Torres, dove viene scoperto da Moggi e portato al Napoli. Tempi d’oro quelli per la squadra partenopea, i migliori in assoluto della sua storia, quando poteva permettersi di schierare gente come Maradona e Careca, Alemao e Ferrara. Zola arrivava all’ombra del Vesuvio con la sua valigia piena di sogni e speranze, prima fra tutte quella di poter indossare un giorno la mitica “numero 10”, seppure con il timore di dover sopportare il paragone continuo con il mito.