Il Milan batte il Real per Borgonovo

Il mondo del calcio continua a manifestare solidarietà nei confronti dello sfortunato Stefano Borgonovo, colpito da Sla e costretto ad una sedia a rotelle. Stavolta a regalargli un sorriso sono state le vecchie glorie del Milan (una delle squadre in cui ha militato) e quelle del Real Madrid, che hanno dato vita ad una gara benefica in quel di San Siro di fronte a cinquemila spettatori.

Tanti i campioni che hanno risposto all’appello, da Van Basten (che ha dato il calcio d’inizio in blue jeans e casacca rossonera) a Evani, da Maldini (che ha accompagnato Stefano al centro del campo) a Baresi, da Weah a Boban. Presenti in tribuna anche Leonardo e Claudio Ranieri, che si è detto onorato dell’invito ricevuto da Stefano via mail. I rossoneri sono riusciti ad imporsi per due reti a zero, ma quel che conta è il risultato economico della serata, 57mila euro da devolvere alla onlus Viva la Vita e al gruppo di ricerca dell”Ospedale Maggiore della Carità di Novara. A voi la gallery della serata.

Italia-Nigeria 2-1: il riscatto del Divin Codino!

Era il 5 luglio del 1994. Un’estate torrida, impensabile giocare a pallone sotto il sole cocente del primo pomeriggio. Eppure in quel Mondiale si decise di anticipare le partite a ridosso dell’ora di pranzo, per garantire la visione in un’ora “accettabile” nel Vecchio Continente.

Quel giorno a Boston si giocava Italia-Nigeria, valida per gli ottavi di finale, con gli azzurri che arrivavano da ripescati tra le migliori terze classificate, mentre gi africani da primi nel proprio girone, davanti alla Bulgaria.

L’Italia non era al top della forma (impossibile esserlo nella calda estate americana) e nemmeno nella formazione migliore, avendo perso per strada il capitano, Franco Baresi (frattura del menisco) ed il portiere, Gianluca Pagliuca, espulso nella gara contro l’Eire. Per contro la Nigeria non aveva grossi problemi da risolvere, se non quello di dimostrare ancora una volta di essere la vera sorpresa di USA ’94.

Storia degli Europei: Germania Ovest 1988

1988: ancora la Germania Ovest a legare il proprio nome alla manifestazione continentale più importante a livello di nazionali. Stavolta come paese ospitante e quindi esentata dalla qualificazione, conquistata di diritto.

La formula è ancora quella sperimentata otto anni prima durante gli Europei italiani, con 31 squadre divise in sette gironi, da ognuno dei quali uscirà una sola qualificata. Immancabili le sorprese al termine della prima fase, prima fra tutte l’eliminazione della Francia campione in carica, ormai orfana di Platini, che nel frattempo aveva detto addio alla Juventus ed alla nazionale.

Anche il Belgio a sorpresa non riuscì a strappare il biglietto per la fase finale, dimostrando che il quarto posto, conquistato ai mondiali messicani di due anni prima, era stato solo un fuoco di paglia.

Franco Baresi: il simbolo del Milan!

Lo abbiamo visto correre e sudare su e giù per il campo, ultimo baluardo della difesa e capace di proporsi in folate offensive palla al piede; lo abbiamo visto piangere per un Coppa del Mondo buttata al vento nel caldo asfissiante di Pasadena; lo abbiamo visto alzare coppe e trofei e restare il solito umile ragazzo quale era al su arrivo giovanissimo in maglia rossonera.

In un tempo in cui le bandiere avevano ancora un senso, Franco Baresi ha rappresentato più di ogni altro il simbolo di una sqaudra, vestendo la stessa maglia dal giorno dell’esordio a quello del ritiro.

E pensare che l’Inter lo aveva scartato, ritenendolo troppo gracile per uno che pretende di giocare in difesa e preferendogli il fratello Giuseppe. Ma il piccolo Franco non si diede per vinto e volle sostenere un provino anche per il Milan, squadra per cui tifava. Inizia qui il sodalizio tra la squadra rossonera ed il giovane talento, che entrò a far parte a 15 anni della grande famiglia per non uscirne più.

Milan-Barcellona 4-0: Cruijff umiliato

Era il 18 maggio 1994 ed il Milan scendeva in campo ad Atene per riscattare l’onta subita l’anno precedente in quel di Monaco, quando l’Olympique Marsiglia aveva ridemensionato le sue ambizioni europee.

Terza finale consecutiva per la squadra di Capello che si trovava a dover affrontare l’avversaria più temibile, quella che nessuno avrebbe mai voluto incontrare: l’invincibile Barcellona di Johann Cruijff. Il desiderio di rivincita era forte, ma il Milan partiva per la Grecia con consapevolezza di chi sa che può scottarsi di nuovo e portare a casa l’ennesima delusione.

Del resto quel Barcellona godeva di tutti i favori del pronostico, tanto che alla vigilia il tecnico olandese aveva fatto proclami di vittoria, definendo il Milan “prosaico” e lasciandosi andare a valutazioni frettolose sui giocatori avversari, primo fra tutti Marcel Desailly, considerato un centrocampista dai piedi imbarazzanti, un operaio del pallone, senza tecnica calcistica.

Fifa Street 3: lo spettacolo che supera la realtà

Finora abbiamo sempre preso in considerazione i classici giochi di calcio. Prima abbiamo analizzato i simulatori, poi i manageriali. Vediamo ora di uscire dagli schemi, e analizzare un titolo tutto nuovo.
Stiamo parlando di Fifa Street, arrivato alla terza edizione, ma che solo ora comincia a diffondersi nelle case degli appassionati.

Il primo punto di forza del gioco della Ea Big (della famiglia Ea Games) è il fatto che può andar bene anche per quei giocatori che non sono esperti di calcio, ma a cui piace la spettacolarità.
Infatti dimenticatevi i vecchi schemi, il catenaccio o la rete di passaggi. Con Fifa Street tutte le leggi del calcio sono rivoluzionate, e a volte anche quelle di gravità.
La regola basilare del calcio moderno è stata cancellata. Infatti non ci saranno ad affrontarsi due squadre da 11 giocatori, ma da 5. Non si tratta però di un torneo di calcetto, ma del vero e proprio calcio che i ragazzini imparano da piccoli, giocando su una strada, dove si corre sull’asfalto o sulla sabbia di una spiaggia, e si prendono come porte i cancelli delle case.

Gianni Rivera: il Golden Boy del calcio italiano

Non si può parlare di grandi numeri 10, escludendo lui, numero 10 per eccellenza del calcio italiano, considerato a furor di popolo uno dei migliori protagonisti della sua epoca, forse addirittura il più grande del calcio italiano di tutti i tempi. Ho già espresso la mia opinione al riguardo, eleggendo Roberto Baggio a numero uno della mia personale classifica, ma chi ha visto giocare Gianni Rivera è pronto a giurare che un altro come lui non è ancora nato.

Bandiera del Milan, il suo nome verrà ricordato nei secoli accanto a quelli di Franco Baresi e Paolo Maldini, in un club che pure ne ha visti di grandi campioni. 9 stagioni con la maglia rossonera con la quale ha vinto praticamente tutto, portando il Milan ai vertici del calcio italiano e internazionale e togliendosi parecchie soddisfazioni a livello personale.

Proveniva dall’Alessandria, squadra della sua citta natale, ed il suo trasferimento fece notizia: 60 milioni di lire più la cessione di tre giocatori. Stiamo parlando dei primi anni sessanta e nessuno mai era stato pagato tanto. La stampa inglese coniò per lui il soprannome di Golden Boy, che il buon Gianni ancora si porta dietro, sebbene abbia raggiunto le 65 primavere.

Paolo Maldini fa 1000 ed entra nella leggenda!

C’era una volta… Così dovrebbe cominciare questa storia, che somiglia tanto ad una favola degna della penna dei fratelli Grimm. Più di 20 calendari sbiaditi, ingialliti, consumati da un tempo che tutto trascina e tutto cambia. O quasi.

Era un freddo gennaio di 23 anni fa, quando in quel di Udine, un difensore (Battistini) uscì dolorante dal rettangolo di gioco, mettendo in apprensione il Barone, che aveva in panchina un sedicenne figlio d’arte ed un terzino tutto muscoli e corsa. “Ferro, scaldati!” urlò Liedholm all’indirizzo di Stefano Ferrari, ma poco dopo tornò sui suoi passi, gettando nell’arena il piccolo Paolo Maldini. Era un freddo gennaio di 23 anni fa ed iniziava la carriera di un mito!

Sono trascorsi 8427 giorni da quel 20 gennaio 1985, la temperatura è la stessa, come il colore della maglia indossata. Cambia il teatro, la scenografia, le comparse chiamate a circondarlo, ma lui è sempre lì, a raccogliere applausi per la millesima volta.

Il Milan di Sacchi? In panchina!

C’era una volta il calcio del libero e dei terzini, dei marcatori e del contropiede, del campione indiscusso per cui si muoveva tutta la squadra e degli allenamenti, che puntavano a migliorare la tecnica individuale.

Poi arrivò Arrigo Sacchi e fu la luce e nulla di quel calcio restò, se non nelle pagine di sbiaditi annuari. Il calcio totale, quello tanto caro all’Olanda di Crujff, quello che non prevede dei ruoli specifici e definiti, ma si gioca a tutto campo, con i campioni che non hanno privilegi solo per il nome che portano, ma che si sacrificano e lottano per aiutare i compagni.

Pressing e ripartenze, gioco a zona e schemi precisi da provare e riprovare, da mandare a memoria, perché bisogna imporre il proprio gioco e non limitarsi ad accettare quello degli avversari. Movimento senza palla e gioco spettacolo, perché è questo che la gente vuole, oltre a veder vincere la propria squadra. E quel Milan vinceva, eccome se vinceva! E non si fermava mai, nemmeno quando il risultato era ormai acquisito da tempo.

Inzaghi, Sentimenti, Maradona: storie di calcio e di fratelli

Storie di fratelli calciatori e subito la mente va ai cinque Sentimenti che negli anni ’40-’50 facevano impazzire gli addetti ai lavori, costretti a “numerarli” per poterli riconoscere facilmente. E così Ennio divenne Sentimenti I, Arnaldo, Sentimenti II, Vittorio, detto Ciccio, Sentimenti III, Lucidio, detto Cochi, il più famoso di tutti, portiere indimenticato di Juventus e Lazio, Sentimenti IV, e Primo che a dispetto del suo nome divenne Sentimenti V.

Cinque fratelli, tutti calciatori e tutti di grande livello, un vero record per il calcio mondiale, seppure si faccia riferimento ad un’epoca in cui forse era più facile che il primo facesse da apripista per l’arrivo degli altri. Mai più si ripetè una favola simile, ma il calcio ci ha regalato negli anni altre coppie di fratelli arrivati a buoni livelli, a volte addirittura nella stessa squadra.

E’ il caso dei gemelli Filippini, Emanuele ed Antonio, che tanto bene hanno fatto giocando per anni soprattutto con la maglia del Brescia, ma anche dei gemelli Zenoni, frutto del vivaio dell’Atalanta.