Gianluca Vialli: goleador di razza

Stacchiamo la spina per un po’ dalla stretta attualità fatta di biscotti e sospetti di combine e torniamo alle nostre care rubriche, occupandoci di un grande del passato che ha fatto bene in patria e ha tenuto alto il nome degli italiani in terra straniera.

Stiamo parlando di Gianluca Vialli, fenomenale atttaccante degli anni ’80-’90, nonché vero campione di simpatia.

Mosse i primi passi da calciatore (come direbbe il buon giornalista) nella Cremonese, squadra della sua città, contribuendo alla promozione dalla serie C alla B e poi al salto nella massima serie nell’anno di grazia 1984.

Da Giuseppe Plaitano a Matteo Bagnaresi: tutte le vittime del tifo

Il calcio miete un’altra vittima, anche se da più parti si è parlato di tragica fatalità, che poteva capitare a chiunque, in qualunque circostanza. Rimane il fatto che il corpo sdraiato sull’asfalto è quello di un tifoso del Parma e a causarne la morte è stato un pulmann di tifosi juventini. Inutile parlare di colpe, perché dai racconti degli stessi amici di Matteo Bagnaresi, si capisce che si è trattato di un incidente, uno sfortunato ed evitabile incidente.

Ma il dubbio è lecito: Matteo sarebbe morto lo stesso, se le due tifoserie non si fossero incontrate? E ancora: l’autista avrebbe fatto la stessa azzardata manovra, se non fosse stato costretto a sottrarsi dalla furia dei tifosi gialloblu? Per chi crede nel destino, la risposta è semplice, ma non venite a raccontarci che il calcio non c’entra. Resta il dolore per una vita spezzata, l’ennesima “vittima del tifo”, che va ad allungare una già lista infinitamente nutrita.

Morti stupide, avvenute in un momento che dovrebbe essere di aggregazione e che si è trasformato troppo spesso in tragedia, lasciando a terra giovani, la cui unica colpa era quella di amare e seguire la propria squadra del cuore. La serie infinita di vittime si apre nel 1963, quando in una gara per la promozione in serie B, Giuseppe Plaitano, tifoso della Salernitana, venne ucciso da un colpo di pistola sparato in aria dalla polizia. Giuseppe non era tra i facinorosi scesi in campo per protestare contro una decisione arbitrale. Era rimasto seduto in tribuna, eppure pagò con la vita l’amore per i colori granata.

Cesare Prandelli concede il bis: miglior allenatore

Poteva vincerlo Mancini, tecnico dell’Inter dello scudetto finalmente conquistato sul campo, a quasi vent’anni di distanza da quello lontanissimo del 1989, poteva vincerlo Ancelotti, allenatore del Milan dei miracoli campione d’Europa e del Mondo, e invece il premio come miglior allenatore è finito per il secondo anno consecutivo nelle mani di Cesare Prandelli.

La soddisfazione poi è doppia se si considera che a votare non erano i giornalisti che, senza offesa per nessuno, potrebbero non capirci granché di schemi e tattica, ma gli stessi suoi colleghi, che evidentemente ne apprezzano le doti professionali.

E Cesare di pallone ne capisce, avendo calcato per anni i campi di calcio, sin dall’esordio in C1 con la maglia della Cremonese, quando guadagnava 50.000 lire al mese: un vero tesoro per lui che, orfano di padre, doveva provvedere alla famiglia. Poi una carriera in crescendo con l’Atalanta, che lo fece esordire in serie A, prima di cederlo alla Juventus, squadra con cui vincerà praticamente tutto quello che c’era da vincere (3 scudetti, 1 Coppa dei Campioni, 1 Coppa delle Coppe, 1 Coppa Italia ed 1 Supercoppa europea). Erano anni d’oro per la Vecchia Signora, un po’ meno per lui che veniva spesso relegato in panchina, con poche possibilità di mettersi in mostra.