Clamoroso a Roma, Bruno Conti lascia e va alla Fiorentina

Dopo una vita, prima da calciatore e poi da responsabile delle giovanili, Bruno Conti lascia la Roma. Lo ha rivelato il quotidinano il Tempo che ha spiegato come, da quando la dirigenza americana si è insediata a Trigoria, per molte colonne della società come lui c’è stato sempre meno spazio. Per questo ha deciso di non rinnovare il suo contratto in scadenza il prossimo giugno, e di tentare una nuova avventura alla Fiorentina.

La Roma non vuole lo scudetto del 2006

Foto: AP/LaPresse

Sono trascorsi cinque anni dal fattaccio,  ma l’assegnazione dello scudetto del 2006 continua ancora a far discutere, tra esposti, richieste di revoca, prescrizioni e ipotesi di riassegnazione in base alla classifica dell’epoca. Se la Juve non può ottenere la restituzione del titolo conquistato sul campo e se l’Inter venisse costretta a restituire il cosiddetto scudetto di cartone, a chi assegnare quel triangolino tanto discusso? Ieri Bruno Conti, dirigente della Roma, aveva avanzato una richiesta nemmeno troppo campata in aria:

Lo scudetto del 2006 lo avremmo meritato noi. I ragazzi lo avrebbero meritato per quanto fece vedere sul campo ma non voglio dire altro perché è un argomento delicato.

Paolo Rossi: l’eroe Mundial!

Nel giorno dell’attesissima Italia-Spagna, vogliamo dedicare un capitolo ad un eroe del calcio nostrano, uno di quelli che a nominarli non si può far a meno di pensare subito alla maglia azzurra: Paolo Rossi.

La speranza è che per colui che ne ha preso il posto a quasi trenta anni di distanza il destino riservi le stesse soddisfazioni.

Già, perché anche il bomber di Spagna ’82 rischiò di fallire l’appuntamento con la storia, così come sta facendo Luca Toni. A differenza del presente, però, la squadra di Bearzot venne ferocemente criticata dopo i tre pareggi che rischiarono di compromettere il cammino mondiale.

Bruno Conti: giallorosso del secolo!

Di Bruno ce n’è uno e viene da Nettuno.

Così cantava la Curva Sud negli anni ’80 ed il Bruno della canzoncina era Conti, giallorosso doc, piccolo di statura ma immenso in campo. Di lui la leggenda racconta che lo volesse una squadra americana di baseball, ma il padre non gli permise di partire per gli States, invitandolo invece a prendere a calci un pallone sulle spiagge del litorale laziale, dove era nato.

A dieci anni Helenio Herrera lo scartò, ritenendolo troppo gracile e minuto per poter giocare a calcio, ma Brunetto non si diede per vinto e negli anni si tolse le sue belle soddisfazioni.

Franco Causio: il Barone

A Torino lo chiamavano Brazil, soprannome che gli affibbiò Vladimiro Caminiti, penna magica del giornalismo sportivo e grande intenditore di pallone. Franco Causio però è ricordato da tutti come “il Barone”, per via di quello stile inconfondibile che lo caratterizzava sia in campo che fuori.

Cresciuto calcisticamente nel Lecce, squadra della sua città, trovò la sua grande occasione nella chiamata di Gianni Agnelli alla corte bianconera. Qualche stagione in prestito qua e là per la penisola e poi il rientro a Torino per diventare titolare inamovile in una squadra di grandi campioni.

Le enciclopedie dl calcio lo indicano come l’inventore del ruolo di “ala tornante”, con il compito di attaccare e l’obbligo di difendere all’occorrenza, ed insieme a Bruno Conti è considerato il più forte cursore di fascia della sua epoca.

Torna il “Derby del Sole” al San Paolo: Napoli e Roma le squadre del momento

Napoli, 15.30: dopo sette lunghi anni di attesa, il San Paolo riabbraccia il “Derby del Sole”. La sfida numero 122 (da quando il campionato è composto dal girone unico) non poteva capitare in un momento migliore per Roma e Napoli: i giallorossi sono reduci dalla conquista dei quarti di finale di Champions League ai danni dei galattici di Madrid, mentre il Napoli ha saputo infliggere alla capolista Inter la prima sconfitta del campionato (riaperto proprio a vantaggio degli uomini di Spalletti).
Ma a prescindere dal momento di grazia delle due compagini, quella del San Paolo sarebbe stata comunque una sfida dalle tinte forti: in Napoli-Roma si intrecciano storie di ex e clamorosi colpi di mercato falliti per un soffio, scambi di panchine e incontri mozzafiato, senza dimenticare la vicenda di un gemellaggio sfociato in un acerrima rivalità.

Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!

Era l’undici luglio 1982 e l’Italia si vestiva a festa per l’ultimo capitolo dell’entusiasmante Mondiale in terra di Spagna. Nessuno ci avrebbe scommesso alla partenza dal ritiro e men che mai dopo le prime tre partite deludenti nel girone, che ci aveva messo di fronte squadre che sembravano ampiamente alla nostra portata. Polemiche a non finire, i giornali si chiedevano il motivo di certe scelte di Bearzot, che si ostinava a mandare in campo una formazione dimostratasi fin lì al di sotto delle aspettative.

Poi arrivò l’Argentina di Maradona, rispedita a casa con la coda tra le gambe, ed il Brasile dei grandi campioni, che avrebbe dovuto fare dell’Italietta un sol boccone e che invece risvegliò l’assonnato Paolo Rossi, facendolo entrare nella leggenda. Un gioco da ragazzi, la semifinale con la Polonia, battuta con due gol dello stesso Pablito, che ci lanciarono direttamente nella finale con la Germania.

Ed ora sembrava tutto facile, l’Italia non era più tanto piccola ed era consapevole della sua forza in campo, mentre da fuori nessuno più osava criticare il ct, che stava per farci vivere il sogno più bello. Ma non fu così facile, non subito almeno, perché una finale è una partita a sé e la paura di perdere può fare brutti scherzi.

Bruce Grobbelaar: il numero 1 dei clown

I più non si ricorderanno di lui, ma di certo per i tifosi romanisti quello di Bruce Grobbelaar è un nome che difficilmente può essere cancellato dalla memoria. Era il 1984 e la Roma si giocava contro il Liverpool la finale di Coppa dei Campioni, prima ed unica volta nella sua storia. Dopo i 90 minuti e i tempi supplementari il risultato era fermo sull’1-1 e si rendevano necessari quindi i calci di rigore.

Primo tiro affidato a Nicol che manda alto. L’Olimpico è in festa e comincia a pregustare il sapore della vittoria, ma è qui che entra in scena il bizzaro portiere del Liverpool. Mentre si avvicinava alla porta, le telecamere inquadrarono l’occhio strizzato ai fotografi, mordendo le corde della rete che doveva difendere. Poi giratosi verso il terreno di gioco, cominciò a danzare sulla linea di porta, nonostante la regola dica che il portiere deve restare immobile fino al tiro.

Un atteggiamento che non trasse in inganno Righetti ed il compianto Di Bartolomei, ma che disturbò non poco Bruno Conti, che tirò alto, e Francesco Graziani, che si fece parare il tiro. Il Liverpool vinse la sua quarta Coppa, mentre alla Roma non restava che recriminare per il balletto del numero 1.

Da Pelè a Bobby Moore: la scaramanzia nel calcio (capitolo secondo)

Aruna Dindane non segna più? Colpa di un maleficio! Sembra una storia di altri tempi e invece stiamo parlando di un calciatore ivoriano, attualmente in forza al Lens, che dall’ 8 dicembre scorso non riesce più a buttarla dentro, nonostante faccia il bomber di professione. Per tentare di liberarlo dall’influenza malefica di qualche marabutto, sono state sacrificate due povere pecore ed un tacchino, ma sembra che non si sia ottenuto il risultato sperato.

Lo so, viene da sorridere, ma la superstizione fa parte da sempre del mondo del calcio, anche se pochi ammettono di avere dei riti propiziatori, per attirare la fortuna ed allontanare i guai.

Ne avevamo già parlato tempo fa, ma gli episodi sono tali e tanti, che forse vale la pena dedicare un secondo capitolo all’argomento. E non aspettatevi solo nomi semi-sconosciuti tra queste righe, perché la scaramanzia non ha risparmiato nemmeno giocatori come Pelè o Bobby Moore, che certo non avevano bisogno di talismani per dimostrare il proprio valore in campo.

Santiago Bernabeu: la fabbrica dei sogni

Battiti a mille e occhi arrossati nel nominare quello stadio, che tanta fortuna portò alla causa italiana nel 1982. Era l’Italia di Zoff e Scirea, di Rossi capocannoniere e di Conti miglior giocatore del mondiale, dei baffi tagliati di Gentile e dell’urlo di Tardelli, di Bearzot e Pertini avversari a carte nel viaggio di ritorno verso casa.

Quanti ricordi legati a quello stadio, il cui nome è rimasto impresso nella memoria dei tifosi quasi fosse il dodicesimo della formazione messa in campo nella notte magica di Madrid. Ma passiamo oltre, per evitare che i ricordi ci prendano la mano e si finisca per parlare solo del trionfo mondiale e della Germania annientata, ma vi assicuro che su queste pagine ci sarà un capitolo dedicato ai ricordi ed alle emozioni di quella sera.

Ripartiamo dal titolo e dalla “fabbrica dei sogni”, definizione azzeccata di Alfredo Di Stefano, che al Bernabeu aveva alzato diversi trofei negli anni d’oro del Real.