Il disastro del Maracanà

Ci sono partite che restano impresse più di altre nelle menti e nel cuore di chi le guarda, definite “storiche” e ricordate anche a distanza di parecchi anni, raccontate ai propri figli e nipoti come qualcosa di incredibilmente straordinario. Nel bene e nel male.

Me ne vengono in mente diverse mentre scrivo e prometto di darne conto nelle puntate successive, ma questa volta la mia attenzione è rivolta ad una gara di cui molti avranno sentito parlare, e che forse nessuno tra i lettori ha avuto la possibilità di vedere.

Era il 16 luglio del 1950 e a Rio de Janeiro andava in scena quello che sarebbe passato alla storia come il “disastro del Maracanà”. Quella volta il Brasile era sicuro di vincere sia perché era realmente forte, il più forte visto fino ad allora, sia perché aveva la possibiltà di giocare in casa, davanti al suo pubblico, per il quale aveva fatto costruire lo stadio più grande del mondo, il tempio del calcio, capace di ospitare 160.000 spettatori.

Edmundo pazzo per il carnevale!

Cosa sarebbe il Brasile senza il calcio ed il carnevale? Difficile da dire perché sono da sempre i due elementi che caratterizzano maggiormante quella parte di mondo, come il tango e la Pampa per l’Argentina o i wurstel e la birra per la Germania.

Chi dice Brasile poi, dice allegria, che viene messa a mo’ di condimento in tutte le manifestazioni che riguardano quella magnifica terra. Allegria nel calcio, con quel modo di fare che incanta e fa innamorare, perché conta si vincere, ma conta molto di più far divertire la gente; allegria a maggior ragione nel carnevale, ormai famosissimo a livello mondiale, considerato da tutti come il più bello in assoluto.

E pallone e carnevale spesso e volentieri vanno a braccetto, sia per l’abitudine consumata che c’è da quelle parti di associare le squadre di calcio alle varie scuole di samba, sia per la presenza massiccia dei calciatori, che per niente al mondo rinuncerebbero ad assistere all’evento dell’anno.

Maracanà: il tempio del calcio

Alzi la mano chi ha mai sentito parlare di Mario Filho! Eppure, nonostante i più lo ignorino, a lui è intitolato lo stadio più grande del mondo, il tempio assoluto del calcio.

Il nome del famoso giornalista brasiliano campeggia ancora in una scritta sull’ingresso principale, ma sin dalla sua costruzione venne ribattezzato, usando il nome di una specie di coloratissimi pappagalli molto diffusi in quella zona ed è stato consegnato alla memoria dei secoli semplicemente come Maracanà.

Si tratta di un impianto sportivo immenso, che potrebbe contenere due, forse tre San Siro, con i suoi 304.284 metri quadrati di estensione. L’architetto Paulo Pinheiro Guedes volle fare le cose in grande quando gli assegnarono il compito di progettare lo stadio, che avrebbe dovuto ospitare i primi mondiali del dopoguerra nel 1950, e rispose presentando un’idea innovativa, ben lontana dagli stereotipi classici.

Dino Zoff: il numero 1 assoluto!

Mito: termine usato spesso a sproposito nel mondo del calcio per definire questo o quel calciatore che ci sa fare un po’ più degli altri con il pallone tra i piedi. Ma il titolo di mito bisogna guadagnarselo sul campo e nessuno come lui è riuscito così bene nell’intento di restare stampato nalla memoria dei tifosi.

Dino Zoff, classe 1942, interprete di un calcio in continua evoluzione, attraversato da decenni di gloriosa carriera. In pochi avrebbero scommesso su di lui, su quel ragazzino esile, che per mantenersi faceva il meccanico e giocava per puro diletto. Lo scartarono Juventus ed Inter, giunte fino in Friuli per osservare questo portierino in azione, ma l’occasione di riscatto gliela offrì l’Udinese, facendolo esordire giovanissimo in serie A.

Inizio in salita per lui, con 5 gol beccati all’esordio contro la Fiorentina ed un pubblico ostile pronto a sottolineare qualunque suo errore. Poi il Mantova per 4 anni e finalmente Napoli, città rumorosa, aperta, molto lontana da quel suo carattere chiuso e serioso. Eppure fu amore a prima vista e Dino diventò in fretta uno degli idoli di quella squadra che pure vantava la presenza di campioni come Sivori e Altafini, Canè e Bianchi.

Dalla mitraglia di Batistuta alle capriole di Martins

Al di là dei milioni spesi, dei campioni comprati, delle orde di tifosi che invadono lo stadio, della moviola, delle polemiche che impazzano sulle pagine dei giornali… al di là di tutto, al di sopra di tutto, c’è un solo gesto, l’unico che conta veramente, l’unico capace di infiammare i cuori e far esplodere la felicità collettiva: il gol!

C’è chi la butta dentro raramente e chi è abituato a gonfiare la rete, ma tutti, proprio tutti, dopo ogni gol esplodono in un’esultanza liberatoria e coinvolgente.

Ognuno ha un suo modo di festeggiare il gol fatto, una specie di segno distintivo, un marchio di fabbrica assolutamente personale. E se una volta il massimo della particolarità era correre sotto la curva, magari togliendosi la maglia, negli ultimi anni è sempre più frequente vedere esultanze nuove e divertenti da ripetere dopo ogni rete. Esultanze semplici come quella di Andrea Pirlo che bacia la fede o quella di Ronaldo a braccia aperte o ancora quella di Kakà, che alza gli occhi e le braccia al cielo in segno di ringraziamento verso Dio, ma anche esultanze costruite e bizzarre.

L’india nel pallone: speranza nel futuro

Incredibile come una tradizione calcistica radicata possa trasformarsi in poco poco più di un hobby nel giro di un secolo. Curioso poi che in un paese con un miliardo di abitanti ci siano solo dieci squadre di calcio che riducono le gare a poco più di un’esibizione in un campionato che dura cinque mesi.

Ma non è stato sempre così, anzi il calcio indiano ha radici nel diciannovesimo secolo, quando fu fondato il primo club (il Mohun Bagan) nel 1889, molto prima di blasonatissimi club europei.

Nei primi anni del secolo scorso, le squadre indiane battevano regolarmente quelle inglesi, pur giocando a piedi nudi e riuscivano ad imporsi a livello asiatico, proponendo squadre che difficilmente si lasciavano battere nelle varie coppe d’Asia. A livello di nazionale l’India può vantare persino una seminale alle Olimpiadi del 1956, quando fu battuta dall’allora Jugoslavia negli ultimi 20 minuti (chiaro, gli indiani erano abituati a giocare solo per 70 minuti!).

Festa per Zico al Maracanà

Brasile! Terra del carnevale, del caffè, del calcio spettacolo. Nell’immaginario collettivo un gruppo di ragazzi che gioca a pallone su una strada sterrata, in una terra che sforna campioni a

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Adriano vola in Brasile per curare la depressione

All’Inter evidentemente piace coccolare i giocatori incompiuti e così dopo l’addio di Recoba, 10 anni di lauti ingaggi e poche prestazioni memorabili, ecco che il prescelto sembra essere diventato Adriano, attaccante dai mezzi fisici straordinari ma caduto ormai da tempo in una crisi che sembra irreversibile.

Sulla vita privata del calciatore brasiliano si è detto di tutto e di più: alcolizzato, in crisi sentimentale con la fidanzata, playboy incallito, re delle discoteche milanesi e protagonista di piccanti festini, come documentato da foto apparse sui settimanali di gossip alcuni mesi fa. In verità non sarebbe la vita “non da atleta” la causa delle precarie condizioni di Adriano e della sua scarsa forma fisica. La teoria viene smentita dall’imperatore stesso, ormai più spesso in tribuna che in campo; Adriano ha rivelato alla tv brasiliana Rete Globo la causa della sua crisi, che risalirebbe addirittura a tre anni fa: “Sono ancora depresso – ha confessato il nerazzurro – E’ questo che non mi permette di allenarmi e giocare bene. Nella vita tutti attraversano una fase negativa, e la morte di mio padre per me è stato un momento bruttissimo, che mi ha fatto soffrire molto“.

Adesso l’Inter ha voluto concedere al calciatore un’ultima possibilità: un mese e mezzo di riabilitazione in una struttura specialistica a San Paolo, in Brasile, dove Adriano cercherà di recuperare la forma psico-fisica perduta; accanto a lui ci sarà il suo procuratore Gilmar Rinaldi, che lo seguirà passo passo in questo difficile tentativo riabilitativo.