Storia degli Europei: Germania Ovest 1988

1988: ancora la Germania Ovest a legare il proprio nome alla manifestazione continentale più importante a livello di nazionali. Stavolta come paese ospitante e quindi esentata dalla qualificazione, conquistata di diritto.

La formula è ancora quella sperimentata otto anni prima durante gli Europei italiani, con 31 squadre divise in sette gironi, da ognuno dei quali uscirà una sola qualificata. Immancabili le sorprese al termine della prima fase, prima fra tutte l’eliminazione della Francia campione in carica, ormai orfana di Platini, che nel frattempo aveva detto addio alla Juventus ed alla nazionale.

Anche il Belgio a sorpresa non riuscì a strappare il biglietto per la fase finale, dimostrando che il quarto posto, conquistato ai mondiali messicani di due anni prima, era stato solo un fuoco di paglia.

Storia degli Europei: Jugoslavia 1976

Nel calcio non sempre vince chi è favorito e l’Europeo del 1976 ne è la dimostrazione più lampante. Proclami di vittoria alla vigilia, con la Germania che si presentava da campione uscente e, soprattutto, forte della conquista del titolo di Campione del Mondo del ’74.

In Europa nessuna squadra poteva contrastare il dominio tedesco, nonostante l’ascesa costante di giovani formazioni, che si presentavano ai nastri di partenza completamente rinnovate. Tra queste, l’Italia, uscita malconcia dall’Europeo del Belgio e in cerca di riscatto immediato.

Sulla panchina azzurra Fulvio Bernardini, nominato commissario unico di tutte le nazionali, anche se coadiuvato da Enzo Bearzot per l’Under 23 e da Azeglio Vicini per l’Under 21. Il girone di qualificazione si rivelò più ostico del previsto e, nonostante la presenza di due formazioni abbordabili come Polonia e Finlandia, l’Italia non riuscì ad esprimere completamente il suo valore. Il sogno azzurro finì dunque prima di cominciare e fu l’Olanda a qualificarsi per i quarti.

Buffon non recupera e mette nei guai Donadoni

C’era un tempo in cui l’Italia era considerata terra di portieri: anni d’oro che creavano ai selzionatori della Nazionale non pochi problemi di scelta, tanto era folta la schiera di pretendenti alla maglia numero uno.

Il dopo Zoff, leader indiscusso tra i pali, aveva consegnato ai vari ct di turno dei dualismi che garantivano, qualunque fosse la scelta, sicurezza e capacità. Erano i tempi di Zenga e Tacconi, con il primo a raccogliere applausi e lo juventino a sperare in qualche disavventura del collega, per poter indossare i guanti e scendere in campo. Eppure in molti ancora si chiedono che cosa sarebbe successo se nella partita con l’Argentina del ’90 ci fosse stato Tacconi a difendere la porta azzurra. Ma il passato non si può cambiare e questa è decisamente un’altra storia.

Venne poi l’epoca di Pagliuca e Marchegiani a dividersi la gloria e la maglia nei Mondiali americani del ’94, con Peruzzi, giovane promessa, alla finestra, nella speranza di poter indossare la maglia numero uno nel futuro prossimo. Tempi di vacche grasse per i vari Sacchi, Vicini, Zoff e Trapattoni il cui unico problema era l’imbarazzo della scelta.