Enzo Bearzot nel ricordo dei suoi campioni del mondo

Foto: AP/LaPresse

Immagini in bianco e nero, sbiadite dal tempo, curiose se confrontate con quelle degli eroi moderni. Immagini che però hanno un immenso significato per chi come me ha vissuto quelle emozioni assolutamente uniche ed irripetibili, mentre quegli undici leoni salivano sul tetto del mondo in barba ad ogni pronostico.

Immagini che oggi tornano più vive che mai, perché Enzo Bearzot, condottiero di quell’Italia Campione del Mondo se ne è andato per sempre. Non se ne va però il suo ricordo, il ricordo di un Vecio che ha saputo trasformare una squadra “normale” nella compagine più forte di quel torneo. Quei ragazzi oggi sono uomini di mezza età, ma ricordano il Vecio con nostalgia, sottolineando le sue qualità umane.

Antonio Cabrini si dà alla politica

Dopo aver attaccato gli scarpini al chiodo nell’ormai lontano ’91, Antonio Cabrini ha tentato di rimanere nel mondo del calcio, prima come allenatore poi come commentatore sportivo, in attesa che

Che fine ha fatto Antonio Cabrini?

Cambio di penna alla stesura del Che fine ha fatto, la rubrica di Calciopro finora curata dal collega Marco Mancini ed ora passata nelle mani dela sottoscritta per motivi non imputabili alla volontà dei redattori e dei responsabili del blog. Da parte mia c’è la speranza che tale rubrica continui ad essere seguita da un gran numero di appassionati con interventi e commenti che ci facciano sentire viva la vostra partecipazione.

E dopo la premessa necessaria, passiamo ad occuparci di un grande campione del passato, uno di quelli difficili da dimenticare persino per chi non lo ha visto giocare. Parliamo di Antonio Cabrini, terzino sinistro della Juventus e della nazionale italiana, noto anche al pubblico femminile per il piacevole aspetto fisico che lo consegnò alla storia come il Bell’Antonio.

Con la maglia bianconera vinse praticamente tutto: 6 scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Coppa dei Campioni, 1 Coppa delle Coppe, 1 Coppa Uefa, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Supercoppa Europea. Un palmares davvero eccezionale per il ragazzo venuto da Cremona, arricchito poi dalla conquista della Coppa del Mondo nel 1982. La sua permanenza a Torino durò fino al 1989, ma poi che fine ha fatto Antonio Cabrini?

Cabrini: il naufragio del Bell’Antonio

Da un po’ di tempo il suo nome è tornato ad occupare le pagine dei giornali per una vicenda che ha ben poco a che fare con il mondo del pallone. Ma ormai calcio e spettacolo vanno a braccetto ed anche Antonio Cabrini ha voluto adeguarsi, accettando di partecipare all’Isola dei Famosi, il fortunato programma della Rai, in onda dal prossimo autunno.

Una scelta curiosa per uno come lui che ha sempre vissuto di pane e calcio, sin da quando appena diciottenne esordiva in serie B con la maglia dell’Atalanta, prima di essere notato dalla Juventus, con la quale giocherà per ben 13 stagioni. E la scelta di partire per l’Isola è figlia un po’ anche di questo suo passato, visto che gli anni regalati alla causa bianconera non sono bastati a garantirgli un futuro in società, costringendolo a guardare altrove pur di lavorare.

Volevano ex campioni e si sono lasciati scappare anche Tardelli. Guardate il Milan: Berlusconi trova sempre un posto agli ex giocatori. Io ho dato a quella maglia tredici anni di carriera, ho accettato di giocare anche quando ero infortunato e rischiavo di spaccarmi per sempre. Si vede che la riconoscenza a Torino non esiste. Se il calcio mi chiude le porte, ne apro altre io.

Paolo Rossi: l’eroe Mundial!

Nel giorno dell’attesissima Italia-Spagna, vogliamo dedicare un capitolo ad un eroe del calcio nostrano, uno di quelli che a nominarli non si può far a meno di pensare subito alla maglia azzurra: Paolo Rossi.

La speranza è che per colui che ne ha preso il posto a quasi trenta anni di distanza il destino riservi le stesse soddisfazioni.

Già, perché anche il bomber di Spagna ’82 rischiò di fallire l’appuntamento con la storia, così come sta facendo Luca Toni. A differenza del presente, però, la squadra di Bearzot venne ferocemente criticata dopo i tre pareggi che rischiarono di compromettere il cammino mondiale.

Liam Brady: un gentleman alla corte della Vecchia Signora

Era il 1980 e l’Italia ricominciava a parlare straniero, dopo anni di strenuo nazionalismo. La Juve tentò di arrivare a Diego Armando Maradona, intoccabile, inavvicinabile, ed il viaggio in Argentina di Boniperti si rivelò vano. La scelta cadde dunque su Liam Brady, irlandese dell’Arsenal, che tanto bene aveva fatto in terra inglese, tanto che il suo presidente tentò in tutti i modi di trattenerlo.

Sette stagioni con i Gunners, impreziosite dalla conquista nel 1979 della Coppa d’Inghilterra che gli valse, a livello personale, l’elezione a giocatore dell’anno. Ma il richiamo della Vecchia Signora era troppo ghiotto da rifiutare ed il 31 luglio del 1980 Liam sbarcò all’aeroporto di Caselle, pronto per la nuova avventura.

In panchina c’era Trapattoni a guidare una squadra di campioni affermati e di giovani promesse. Rossi, Bettega, Cabrini, Tardelli, Furino, Fanna: sono solo alcuni dei nomi della Juventus di quegli anni, ma, nonostante la fama dei suoi compagni di squadra, Brady riuscì ad inserirsi in fretta.

Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!

Era l’undici luglio 1982 e l’Italia si vestiva a festa per l’ultimo capitolo dell’entusiasmante Mondiale in terra di Spagna. Nessuno ci avrebbe scommesso alla partenza dal ritiro e men che mai dopo le prime tre partite deludenti nel girone, che ci aveva messo di fronte squadre che sembravano ampiamente alla nostra portata. Polemiche a non finire, i giornali si chiedevano il motivo di certe scelte di Bearzot, che si ostinava a mandare in campo una formazione dimostratasi fin lì al di sotto delle aspettative.

Poi arrivò l’Argentina di Maradona, rispedita a casa con la coda tra le gambe, ed il Brasile dei grandi campioni, che avrebbe dovuto fare dell’Italietta un sol boccone e che invece risvegliò l’assonnato Paolo Rossi, facendolo entrare nella leggenda. Un gioco da ragazzi, la semifinale con la Polonia, battuta con due gol dello stesso Pablito, che ci lanciarono direttamente nella finale con la Germania.

Ed ora sembrava tutto facile, l’Italia non era più tanto piccola ed era consapevole della sua forza in campo, mentre da fuori nessuno più osava criticare il ct, che stava per farci vivere il sogno più bello. Ma non fu così facile, non subito almeno, perché una finale è una partita a sé e la paura di perdere può fare brutti scherzi.