Chiamatela “farsopoli”, chiamatela “partita dello scandalo“, ma così doveva andare e così è andata. Chi sperava che andasse diversamente sapeva benissimo di contare su una mera illusione, perché la Lazio non avrebbe mai potuto vincere, sapendo di ragalare la gioia più grande agli odiati cugini. Poi si può discutere per settimane intere di sportività e di calciatori professionisti, che in campo dovrebbero dare il 110% per far vincere i propri colori, pur sapendo che non sempre è così. Ma non provate a fare discorsi simili in presenza di Lotito, che in una lettera ha cercato di difendere le proprie ragioni, rimandando al mittente le accuse di “biscotto”:
La Lazio non deve chiedere scusa a nessuno; deve piuttosto ricevere le scuse da parte di chi, ignorando le proprie responsabilità, ha lanciato sugli altri colpe inesistenti.
Parole di fuoco da parte del patron biancazzurro, che guarda indietro e vede nel pollice verso di Totti, alla fine del derby, la causa scatenante del clima di tensione che si è creato nella Capitale (“manifestazioni che hanno profondamente ferito la tifoseria laziale”), amplificato poi dalla stampa e dalle radio locali:
La Lazio ed il suo Presidente ne sono stati vittime destinate: si è arrivati alla minaccia di morte (se non battete l’Inter siete finiti) inviata per posta, accompagnata da proiettile di grosso calibro.
E ancora:
La Lazio ed i suoi tifosi non accettano insulti, palesi o insinuati; la sportività e lealtà della Lazio e dei suoi giocatori non può essere messa in dubbio da nessuno; chi ha alimentato la tensione con comportamenti antisportivi e violenti non ha alcuna veste per impartire giudizi o lezioni di sportività.
Vero, come è vero però che l’amante del calcio (di qualunque colore sia) meritava forse di vedere una gara di calcio e non un teatrino sul terreno dell’Olimpico. Poi si può anche perdere, per carità.