Sandro Mazzola: predestinato di classe

di Redazione 1

Un destino nel nome, un predestinato che deve sempre dimostrare di essere erede degno di un padre così importante. E’ la storia di Sandro Mazzola, figlio di Valentino, capitano del Grande Torino, prematuramente scomparso nella tragedia di Superga.

Sandrino all’epoca era un bambino ed ancora oggi confessa di aver cancellato quella fetta di esistenza che precedeva il grande dolore. Iniziò a tirar calci ad un pallone spinto da una vocazione naturale, sapendo sin da allora che il confronto con il papà-campione sarebbe stato inevitavile. Ha sempre ammesso che suo padre era di un altro pianeta e per quanto poi nella carriera Sandro ebbe modo di dimostrare grandi doti, non raggiunse mai la classe sopraffina del genitore.

Lo portò all’Inter Giuseppe Meazza, più per pietà verso un ragazzino che aveva perso suo padre in un modo così tragico, che per l’effettivo talento del giovane Mazzola. Ma Sandro negli anni riuscì tirar fuori la classe e ad onorare il cognome che portava.


Il suo esordio in serie A è legato ad un episodio curioso. L’allora presidente dell’Inter, Angelo Moratti, per protesta mandò in campo la squadra primavera contro l’armata juventina, che non ebbe pietà e superò i ragazzini per 9-1. Proprio di Mazzola il gol della bandiera per i nerazzurri: un esordio triste per il risultato, ma immaginate la gioia del campioncino mentre infilava la porta della Juventus, seppur su calcio di rigore.

Seguirono anni di grandi soddisfazioni, in cui Sandro riuscì pian piano a scrollarsi di dosso il peso del confronto, fino a diventare uno dei più forti giocatori dell’epoca.

Mezzala offensiva con grandi capacità teniche, faceva della velocità e del palleggio le sue armi migliori, contribuendo con prestazioni di alto livello alla conquista di quattro scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali.

Determinante anche il suo apporto alla causa azzurra, nonostante il dualismo con Gianni Rivera. I due più grandi talenti italiani dell’epoca ebbero poche occasioni di giocare insieme, poiché l’allora tecnico della nazionale, Ferruccio Valcareggi, sosteneva che i due non fossero compatibili. E allora via alla staffetta, con Sandrino che giocava i primi 45 minuti ed il milanista che subentrava nella ripresa. Quasi sempre, almeno.

In sola gara Mazzola riuscì ad imporsi e a convincere i compagni di squadra a perorare la sua causa presso il mister. Era la finale del Campionato del Mondo del 1970 ed all’inizio del secondo tempo, quando il risultato era sull’1-1, Mazzola rientrò sorprendentemente in campo tra l’incredulità dei tifosi abituati al cambio. Niente staffetta quel giorno: il Golden Boy venne impiegato negli ultimi sei minuti, in sostituzione di Boninsegna, quando il risultato era ampiamente compromesso.

E chissà come sarebbe finita se Sandrino avesse accettato di buon grado la panchina ancora una volta…

Commenti (1)

  1. sandro mazzola è stato un grande,tengo a precisare un piccolo dettaglio,da giovane la sua prima societa di calcio, è stata la A.C. MILANESE LIBERTAS. che comunque era una filiale sovenzionata dall’INTER.

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