C’era una volta un giovane di belle speranze, che giocava in una delle squadre più forti del mondo, ricevendo consensi ed applausi ad ogni tocco di palla. E’ la storia di David Beckham, uno dei migliori “crossatori” che abbiano mai calcato un rettangolo verde, beniamino del Manchester United e della nazionale inglese, fino a quando non decise di trasformarsi in una macchina da soldi.
E allora ecco il Real Madrid ed il contratto a tanti zeri e poi ancora il sogno americano ancor più redditizio, mentre il calcio scompariva pian piano dalla sua vita, con il giocatore che si trasformava sempre più in un fenomeno da baraccone.
Ma chi vive di pane e calcio sa che non c’è somma che possa valere il sogno di partecipare ad una kermesse mondiale, magari da protagonista o solo come semplice gregario (chiedere informazioni ad Oddo, ad esempio), nella speranza di salire sul gradino più alto del podio per poter raccontare ai posteri “io c’ero”.
Di qui la voglia di trasferirsi in una squadra un po’ più blasonata dei Los Angeles Galaxy e più “a portata di vista” di mister Capello, allenatore dei sudditi di Sua Maestà. Ed ecco l’arrivo a Milano per soli tre mesi e poi ancora Los Angeles, giusto in tempo per perdere la finalissima del campionato a stelle e strisce, prima del ritorno trionfale nella capitale della moda.
A questo punto la convocazione al mondiale era certa ed il giovane di belle speranze non avrebbe dovuto far altro che mantenersi in forma fino alla partenza per il Sudafrica. Una favola a lieto fine? No, perché uno dei suoi preziosi tendini ha deciso di cedere proprio nel momento meno opportuno, a soli tre mesi dal fischio d’inizio della competizione.
Rottura del tendine di Achille, che in termini pratici equivale a tre-quattro mesi di stop prima di ricominciare a correre (figuriamoci a giocare!). L’intervento è perfettamente riuscito, ma la favola di David Beckham finisce qui, così come il suo sogno di partecipare al mondiale (se non da semplice mascotte). Peccato.