Alessio Miceli, 34 anni, una vita fatta di lavoro, famiglia e pallone. Una passione che poco ha a che fare con il palcoscenico scintillante della Serie A, dove si gioca più per denaro che per diletto. E Alessio Miceli ha pagato con la vita l’amore per il calcio, per quel pallone che rotola e regala emozioni forse dimenticate da chi del calcio ha fatto un mestiere. Un aneurisma ha spezzato la vita del giocatore del Soleto, allungando la lista delle vittime su un campo di calcio e riportando alla mente tragedie simili, non ultima quella toccata a Piermario Morosini lo scorso anno.
Categorie diverse, ma storie maledettamente simili con finali in fotocopia. Alessio Miceli è stramazzato al suolo nella gara contro il Don Bosco Corigliano, ha cercato di rialzarsi per continuare ad inseguire il suo sogno, ma poi è crollato a terra esanime. Immediati i tentativi di rianimare il calciatore, ma la mancanza di un defibrillatore ha forse contribuito a rendere vani i soccorsi. Una vicenda simile a quella di Morosini, che qualche mese fa moriva sul rettangolo verde, riaprendo la polemica sull’inadeguatezza dei controlli medici.
Una polemica che va avanti da anni, sin da quando Renato Curi nel 1977 morì sul campo di Perugia mentre correva dietro ad un pallone. Polemiche che lasciano il tempo che trovano e che ritornano ad intervalli più o meno regolari, allorché ci si ritrova di fronte all’ennesima tragedia. Giuliano Taccola, Marc Vivien Foe, Miklos Feher, Antonio Josè Puerta, nomi che tornano in prima pagina in giornate come quella di oggi, nelle quali ci si ritrova a scrivere ancora una volta articoli che sarebbero rimasti volentieri nella penna.
A chi dare la colpa? Controlli inadeguati, attrezzature non presenti al momento della tragedia, poca tempestività nei soccorsi o una sorte maligna che colpisce a caso. Resta il dolore per una morte assurda, l’ennesima, toccata ad un ragazzo che inseguiva un pallone.
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