“Devo avere pazienza con lui perché è macedone? Ma mì sun de la Bovisa e so minga un pirla!”
Così diceva il suo ex allenatore all’Inter Osvaldo Bagnoli quando, dopo le inutili quanto ridicole partite della sua “stella” Darko Pancev, doveva far fronte a presunti malori del calciatore che spuntavano quando rischiava di finire in panchina.
Darko Pancev è considerato uno dei più grossi bidoni del calcio italiano, non tanto per la sua scarsa vena offensiva, ma più che altro perchè era arrivato in Italia con la fama di attaccante più forte del mondo, ricercato da tutti i più grandi club europei, per poi andarsene dopo pochi anni deriso e senza più uno straccio di contratto. Ma che fine ha fatto?
Facciamo un passo indietro e analizziamo la sua carriera, e cioè l’inizio della fine. Arrivato all’Inter nell’estate del 1992, dopo la conquista della coppa Campioni con la Stella Rossa e i 34 gol segnati in una stagione, tutti lo soprannominarono “Il Cobra” per la sua spietatezza in area, e pensavano di aver risolto tutti i problemi in attacco dei nerazzurri. E invece le prime partite furono pessime, e quelle successive peggiori. Sbagliava gol incredibili a due metri dalla porta e delle volte giocava più da difensore della squadra avversaria che da attaccante dell’Inter. Queste sue peripezie gli fecero ottenere l’appellativo di “Ramarro Marrone” che cancellò in un battito di ciglia il più altisonante “Cobra”. 19 partite e 3 gol segnati in 3 stagioni in Italia (oltre a mezzo campionato in cui andò in prestito al Lipsia) lo fecero bollare come il più grosso bidone della storia del calcio.
Ormai con il morale e l’autostima sotto i tacchetti provò a ricominciare nel ’95 al Fortuna Dusseldorf, ma lì le cose non cambiarono di molto, e finì la sua carriera a soli 32 anni nel Sion, in cui giocò solo 5 partite. Lui oggi dà la colpa all’Inter, perchè il gioco dei nerazzurri non si addiceva alle sue caratteristiche. Secondo lui infatti non era possibile segnare tanto in una squadra così difensivista come era quella di Bagnoli, ed era normale che avendo un’occasione a partita non avrebbe potuto fare granchè. Dopo quell’esperienza l’idea di abbandonare il calcio si fece sempre più pressante, e diventò realtà dopo le altre due esperienze all’estero, tanto che, lasciato il calcio professionistico, decise che del pallone non voleva più saperne.
Oggi abita a Skopje, in Macedonia, sua città natale. Si è sposato e ha due figlie. Vive felicemente di rendita, con i suoi 800 mila euro che in terra macedone sono un’enormità. Ogni tanto il pensiero di tornare nel calcio c’è, dato che la squadra della sua città gli ha proposto anche la carica di presidente o direttore sportivo, ma dopo il trauma italiano, pare essere diventato allergico al pallone. Non potrà vivere di rendita per sempre, ma siamo sicuri di non rivederlo in Italia per ancora tanto tempo.
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