Nel 1969 la Coppa Intercontinentale muore a causa di una partita che diventa una caccia all’uomo. Si affrontano il Milan di Nereo Rocco e l’Estudiantes di La Plata, un club che partendo da una città di medie dimensioni è arrivata a dominare il calcio sudamericano.
Tra di loro ci sono ottimi giocatori come Carlos Bilardo, il futuro CT dell’ Argentina campione del mondo con Maradona in Messico, e Juan Ramon Veron, il padre di Sebastian, giocatore di Inter e Sampdoria. Ma gli altri fanno del dinamismo e della provocazione il loro credo.
La seconda Coppa dei Campioni vinta dall’Inter consecutivamente arriva il 27 aprile del 1965 allo stadio Meazza di Milano. E’ la decima finale e la prima che si gioca in Italia.
L’Inter ci è arrivata superando i Glasgow Rangers nei quarti di finale e il Liverpool in semifinale. Contro gli inglesi i nerazzurri hanno realizzato una vera e propria impresa nella semifinale di ritorno, perché hanno dovuto raddrizzare il tre a uno dell’andata.
Più agevole il cammino del Benfica, che si è sbarazzato del Real Madrid nei quarti di finale vincendo in casa per cinque a uno, e nelle semifinali della squadra ungherese del Vasas Eto Györ, vincendo uno a zero fuori casa e quattro a zero in casa.
Davanti a 89.000 spettatori si affrontano l’Inter di Helenio Herrera e di Angelo Moratti e il Benfica del leggendario Eusebio – è alla sua quarta finale delle ultimi cinque edizioni della Coppa dei Campioni.
Dopo aver vinto le prime due finali, il Benfica perderà per la seconda volta una finale contro una squadra italiana – due anni dopo aver affrontato il Milan. La squadra portoghese è anche sfortunata, visto che si trova costretta a schierare per gran parte del secondo tempo il difensore Germano in porta al posto
del portiere Costa Pereira.
L’avventura nella Coppa dei Campioni 1963-1964 dell’Inter non è stata facile. Già nel primo turno si trovano davanti i campioni d’Inghilterra dell’Everton – che superano grazie alla sola rete segnata nel confronto, realizzata da Jair a San Siro.
Quell’anno però l’Inter sembra imbattibile: in Europa non perderà una sola partita. Negli ottavi si disfa dei francesi del Monaco – vittoria per uno a zero in casa e per tre a uno in trasferta -, e nei quarti del Partizan Belgrado – altra vittoria in trasferta, questa volta per due a zero e ritorno tranquillo a San Siro vinto due a uno.
Il Milan è stata la prima squadra italiana ad essere arrivata in finale di Coppa Campioni – era il 28 maggio 1958 – e i rossoneri persero tre a due contro il Real Madrid delle cinque vittorie consecutive nella maggiore competizione europea.
I rossoneri sono anche il primo club tricolore ad alzare al cielo la Coppa Campioni nella notte del 22 maggio 1963 allo stadio Wembley. Le mani sono quelle del capitano Cesare Maldini.
I rossoneri arrivano alla finale dopo aver dominato i quarti contro i turchi del Galatasaray – hanno vinto tre a uno ad Istanbul e cinque a zero a San Siro -, e in semifinale contro il Dundee – strada spianata dopo il cinque a uno dell’andata a Milano.
Post dedicato ad un’altra gioia, riservata ai tifosi bianconeri. Dobbiamo risalire a quindici anni fa – un’eternità per il calcio. L’ultimo successo nella Champions League della Juventus.
Vittoria tutt’altro che semplice, visto che i bianconeri per superare i Lancieri di Amsterdam hanno bisogno dei calci di rigore. Dopo centoventi minuti di battaglia in cui la Juve meritava almeno la vittoria ai punti. Il penalty decisivo lo batte Vladimir Jugovic, e segna con un tiro preciso nell’angolo basso a sinistra di Edwin Van der Sar.
Avrei potuto intitolare questo post in vari modi, tutti incentrati sul tema la vendetta va consumata. Due anni dopo la disfatta della finale di Istanbul, in cui il Milan riesce a perdere una Champions vinta, perché si fa rimontare nel secondo tempo i tre gol fatti nel primo, i rossoneri si prendono una rivincita di peso.
Nella finale di Atene del 2007 il Milan batte il Liverpool per due a uno. E con questa vittoria arriva la settima Champions League/Coppa Campioni.
Post dedicato ad una delle più grosse emozioni della vita di milioni di interisti. L’ultima volta che i nerazzurri che si erano presentati in una finale di Coppa Campioni era il 1967 – sconfitta con il Glasgow Rangers per due a uno -, mentre l’ultima volta che avevano alzato al cielo il trofeo più importante per un club europeo era il 1965, nella finale vinta a San Siro contro il Benfica di Eusebio per uno a zero.
Calcio d’altri tempi visto che il difensore portoghese Germano fu costretto a prendere il posto di Costa Pereira, giocando in porta per gran parte del secondo tempo.
Sembra ieri ma sono passati già cinque anni. Dove eravate voi quando abbiamo vinto la quarta Coppa del Mondo? Con chi? Come avete festeggiato? I Mondiali 2006 sono un caso classico di resurrezione all’italiana.
Nel pieno di uno degli scandali peggiori della storia del calcio, una squadra operaia che ha fatto della difesa il suo credo, riesce a vincere un mondiale grazie alla furbata del suo bad boy Marco Materazzi che provoca l’espulsione di Zinedine Zidane, indubbiamento il faro degli avversari, e al rigore decisivo dell’operaio Fabio Grosso, che già aveva sparigliato le carte contro l’Australia e in semifinale contro la Germania.
Era il 22 giugno del 1986, quando un piccolo uomo beffò gli avversari, facendo sobbalzare i tifosi per ben due volte nel giro di pochi minuti. Siamo ai quarti di finale dei Mondiali messicani, Stadio Azteca della capitale, e va in scena Inghilterra-Argentina, sfida che va al di là dell’evento sportivo, per via della guerra delle isole Falkland di qualche anno prima.
Corre il minuto numero 51 ed il tabellone luminoso segna ancora lo 0-0, ma la vendetta dell’albiceleste sta per maturare. Un passaggio all’indietro di Steve Hodge si trasforma in un’occasione imperdibile per Diego Armando Maradona, che sull’uscita di Shilton salta in alto, colpisce la palla con la mano ed infila il gol del vantaggio per l’Argentina. Pentito del gesto? Macché! Il numero 10 si vanterà fin troppo della sua furbata, dichiarando che si era trattato di un aiuto divino, della Mano de Dios, che aveva sistemato le cose.
La Spagna festeggia la sua prima Coppa del Mondo, conquistata con merito al termine di una partita tiratissima, caratterizzata da un numero impressionante di falli cattivi. Non si può dire che quella di ieri sera a Johannesburg sia stata una finale da ricordare, sebbene alla fine conti solo vincere e portare a casa il trofeo.
E allora a meno di 24 ore dalla consegna della Coppa nelle mani di Casillas, torniamo indietro con la memoria ed andiamo a rivivere le finali più emozionanti nella storia del mondiale, quelle che per un verso o per l’altro sono rimaste nella memoria di chi ha avuto la fortuna di viverle direttamente.
Tragedia, massacro, olocausto: così titolavano i giornali italiani il 30 maggio del 1985, all’indomani di quella che verrà ricordata per sempre come la strage dell’Heysel. Titoli che potrebbero far pensare ad un incidente ferroviario, ad un maremoto, ad un attacco terroristico e che invece servivano a commentare una “semplice” partita di calcio trasformatasi in un eccedio. Juventus e Liverpool si ritrovavano a Bruxelles per l’atto conclusivo della finale di Coppa dei Campioni.
I bianconeri non avevano mai messo le mani sulla Coppa, pur avendo disputato due finali (nel ’73 contro l’Ajax e nell’83 contro l’Amburgo, entrambe perse per 1-0), mentre il Liverpool aveva già vinto la massima competizione europea a livello di club per ben 4 volte (l’ultima proprio l’anno precedente contro la Roma). I presupposti per una finale degna di questo nome c’erano tutti, ma un’ora prima del fischio d’inizio accadde quello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: i tifosi dei Reds presero a spingere verso il settore Z dello stadio, sfondando le reti di recinzione e travolgendo i supporters bianconeri.
Correva l’anno 1986 ed il campionato italiano viveva una delle sue pagine più emozionanti. La Roma di Sven Goran Eriksson era riuscita a recuperare 11 punti alla Juventus e si apprestava a giocarsi in casa la partita del sorpasso e del possibile scudetto, il terzo della sua storia. Era la penultima giornata di campionato ed il calendario recitava Roma-Lecce e Milan-Juventus: un’occasione assolutamente imperdibile per i capitolini contro una squadra già retrocessa che non aveva più nulla da chiedere alla stagione in corso.
Pronti via e Ciccio Graziani insaccava di testa, mentre l’Olimpico vestito a festa già pregustava il sapore della vittoria, reso ancor più dolce dalle tante occasioni da rete che ebbe la Roma di lì a poco. Ma al 34′ successe l’imprevedibile: il difensore Di Chiara, romano de Roma, penetrò nella difesa dei padroni di casa, infilando la rete del pareggio. Gelo sull’Olimpico, sebbene nessuno potesse immaginare cosa sarebbe accaduto di lì al 90′. Trascorsero altri otto minuti e dalla delusione si passò alla disperazione, quando Barbas mise a segno il rigore del sorpasso, stroncando sul più bello i sogni di gloria dei giallorossi.
Si torna a parlare di Nazionale Olimpica sulle pagine di Calciopro a poche ore dall’articolo di stamattina sulladedicato alla squadra che dovrà difendere i colori azzurri, durante la manifestazione che si aprirà venerdì in quel di Pechino.
Stavolta torniamo con un argomento che vuole essere di buon auspicio per i ragazzi di Casiraghi, nella speranza che possano ripetere l’impresa dell’Italia di Pozzo, vincitrice a Berlino nel lontano 1936.
Erano anni difficili per l’Europa intera, con la diffusione del nazionalsocialismo e l’ascesa al potere dell’uomo che voleva cambiare il mondo, eliminando ogni diversità. Berlino si era vista assegnare l’organizzazione del torneo olimpico prima che Hitler divenisse cancelliere del Reich, tanto che inizialmente il dittatore tedesco aveva snobbato la manifestazione, ritenendola “un indegno festival organizzato dagli ebrei”. In seguito però riuscì a comprendere l’importanza dell’evento, non tanto dal punto di vista sportivo, ma da quello puramente politico. Le Olimpiadi di Berlino divennero così strumento di propaganda.
Correva l’anno 1983 quello successivo al Mondiale di Spagna che ci aveva fatto sognare ed esultare, regalandoci il terzo titolo ed il rispetto del mondo intero. Erano anni di predominio inglese a livello di club, tanto che le ultime sei edizioni della Coppa dei Campioni erano finite ad arricchire le bacheche delle squadre d’oltremanica.
Ma quel 1983 aveva qualcosa di speciale ed in finale arrivarono l’Amburgo e la Juventus, rappresentanti, guarda caso, di Germania e Italia, che solo 10 mesi prima si erano date battaglia in quel di Madrid per alzare la Coppa del Mondo.
La compagine tedesca era di gran lunga inferiore allo squadrone bianconero, che si avvicinava alla finale di Atene con la presunzione di chi sa che i 90 minuti finali sono solo una pura formalità prima della festa finale.
Questo sito Web utilizza i cookie per consentirci di offrire la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito web e aiutando il nostro team a capire quali sezioni del sito web trovi più interessanti e utili.
Puoi regolare tutto le impostazioni dei cookie navigando le schede sul lato sinistro.
Cookies strettamente necessari
Cookies strettamente necessari devono essere abilitati in ogni momento in modo che possiamo salvare le tue preferenze per le impostazioni dei cookie.
Se disabiliti questo cookie, non saremo in grado di salvare le tue preferenze. Ciò significa che ogni volta che visiti questo sito web dovrai abilitare o disabilitare nuovamente i cookie.
Terze parti
This website uses Google Analytics to collect anonymous information such as the number of visitors to the site, and the most popular pages.
Keeping this cookie enabled helps us to improve our website.
Please enable Strictly Necessary Cookies first so that we can save your preferences!