Storia degli Europei: Francia 1960

Si apre oggi un nuovo capitolo dedicato agli Europei sulle pagine di Calciopro, che ci accompagnerà per qualche settimana, alla scoperta delle passate edizioni. Con un po’ di nostalgia per il calcio che fu, partiamo dalla prima edizione, giocata in Francia nel 1960.

In realtà definire tale edizione un vero e proprio “Europeo” è abbastanza azzardato, vista l’assenza di numerose nazionali che si rifiutarono di partecipare. Anzi, a dire il vero, mancava proprio l’élite del calcio continentale con le assenze di Inghilterra, Scozia, Germania Ovest, Belgio, Svizzera, Olanda e Italia. Già, i Campionati Europei cominciano proprio con il rifiuto della Federazione Italiana di partecipare alle gare di qualificazione, viste le brutte figure rimediate negli anni precedenti a livello internazionale.

Italia a parte, comunque, è chiaro che il primo Europeo poteva contare su una ristretta cerchia di partecipanti, che si ridusse ulteriormente quando nei quarti la Spagna del Generale Franco si trovò a dover affrontare l’Urss. In quel periodo infatti i rapporti tra i due stati erano piuttosto tesi e gli spagnoli si rifiutarono di recarsi a Mosca per disputare la gara. In verità sia i calciatori che la Federazione Spagnola non avevano problemi a varcare i Balcani, ma il veto del Generale fu così deciso che dovettero rassegnarsi a perdere il treno per la gloria.

Spagna-Italia: buon test, nonostante tutto

Dall’ultimo test prima delle convocazioni per l’Europeo di giugno, gli azzurri tornano a casa sconfitti e con la convinzione di meritare qualcosa di più. Alla fine a fare la differenza è un gran gol di Villa che insacca là dove Buffon nulla può.

Le previsioni della vigilia vengono ampiamente rispettate, con il solo Grosso a prendere il posto di Zambrotta nell’undici di partenza, mentre Perrotta riesce a conquistare l’ultima maglia disponibile per il centrocampo. Avvio sprint degli spagnoli, che si fanno vedere più volte dalle parti dell’area azzurra, con palleggi precisi ed efficaci. La supremazia territoriale delle Furie Rosse viene interrotta al minuto 14, quando Toni insacca alle spalle di Casillas, ma il gesto tecnico del centravanti viene reso vano da un fallo di Cannavaro in attacco.

Passata la paura, la Spagna ricomincia a girare e si presenta più volte dalle parti di Buffon che si esalta sulle incursioni avversarie, guadagnandosi gli applausi prima per una respinta su tiro violento di Torres, poi sul tentativo di ribattuta di Fabregas. Si ripete poi sullo stesso attaccante spagnolo a fine primo tempo, deviando in tuffo un rasoterra insidioso. E l’Italia?

Aspettando Spagna-Italia tra polemiche e certezze

Siamo alle solite. Alla vigilia dei grandi impegni internazionali tutta l’Italia cambia professione, trasformandosi improvvisamente in una terra di allenatori, in grado di decidere chi portare e chi no nella comitiva azzurra. Lo sa bene chi siede su una panchina e cerca di scegliere secondo i propri canoni e senza farsi influenzare dall’opinione popolare, ma le polemiche non possono non condizionare l’ambiente.

E così il buon Donadoni dovrà sopportare da qui a giugno il peso della domanda “Del Piero si o Del Piero no?”. L’ennesima esclusione del numero 10 juventino, infatti, è stata accolta con disappunto dalla critica, soprattutto in considerazione dell’ottima prestazione nell’ultima gara contro l’Inter, dove Alex ha dimostrato di essere in forma smagliante, surclassando il diretto marcatore, Materazzi.

Ironia della sorte, il difensore è stato convocato, mentre il bianconero è rimasto a casa! Non che Marco non meriti la nazionale, ci mancherebbe, ma la sensazione è che le scelte del ct non dipendano esclusivamente dal momento di forma di ciascun calciatore. Riuscirà il capitano bianconero a conquistare una maglia per la spedizione in Svizzera e Austria? Staremo a vedere, ma per ora l’obiettivo è quello di far bene stasera nella gara contro la Spagna, dove Donadoni proverà la formazione che più si avvicina all’undici titolare dei prossimi Europei.

Alessandro Del Piero: l’uomo dei record!

Avrei voluto festeggiare con un gol il raggiungimento del record di Gaetano Scirea, però mi sono mangiato una grossa occasione.

Questa la dichiarazione di Alessandro Del Piero dopo la gara di sabato contro l’Inter, che ha sancito la vittoria della Juventus e la sua personale soddisfazione per aver raggiunto, in termini di presenze, il record dell’indimenticato capitano degli anni ’70-’80. Non ce l’ha fatta a festeggiare con un gol, ma l’impresa sportiva resta e va ad aggiungersi agli innumerevoli primati conquistati nel corso degli anni con la maglia bianconera.

231 i gol segnati, che ne fanno il miglior marcatore nella storia della Juventus. Di questi, 44 nelle competizioni internazionali (altro record) sempre con la maglia della Vecchia Signora; 27 gol in nazionale, quarto di sempre (a pari merito con Roberto Baggio) e bomber più prolifico tra i calciatori in attività con la maglia azzurra. Ed ora è arrivato il gettone numero 552, che lo pone al primo posto nella classifica delle presenze totali. In un calcio dove le bandiere non sono che un lontano ricordo, Alessandro Del Piero rimane fedele alla maglia che è diventata ormai una seconda pelle.

David Trezeguet ancora escluso dalla nazionale

Antipatia personale: solo così si può spiegare l’ennesima esclusione di David Trezeguet dalla lista dei convocati di Domenech. 39 i nomi sul taccuino del ct francese, ma ancora una volta tra questi non figura l’attaccante juventino, in forma strepitosa e vice-capocannoniere della serie A con 16 gol all’attivo.

Stando così le cose, il sogno di giocare l’ Europeo diventa un’utopia e, a meno di clamorosi ripensamenti, sembra proprio che il franco-argentino si godrà l’estate su qualche assolata spiaggia, guardando in tv i suoi compagni impegnati a difendere i colori nazionali.

Buon per noi, che avremo una gatta in meno da pelare, visto che i transalpini sono stati inseriti nello stesso girone dell’Italia e non potranno contare su uno dei più forti attaccanti europei degli ultimi 20 anni. Certo, ci saranno nomi di spicco come Karim Benzema, Thierry Henry, Franck Ribery e Florent Malouda, ma nessuno come David conosce bene il calcio italiano e l’apporto che avrebbe potuto dare sarebbe stato determinante.

Europei 2008: Gruppo C

Terzo e penultimo appuntamento alla scoperta delle squadre qualificate per l’Europeo della prossima estate. Quest’oggi ci occupiamo del Gruppo C, che ci riguarda da vicino, visto che l’urna ha stabilito che la squadra guidata da Donadoni dovrà vedersela con Olanda, Romania e Francia (ancora lei!).

L’Italia arriva all’appuntamento da detentrice del titolo mondiale e, pur non avendo precedenti esaltanti nella competizione europea (a parte la conquista del titolo nel ’68, ma stiamo parlando di una vita fa), resta comunque la squadra da battere. Nel girone di qualificazione ha stentato solo all’inizio, con un pareggio interno contro la Lituania e una sconfitta rimediata dai cugini francesi. Poi il cammino si è fatto in discesa e Donadoni ha saputo dare personalità alla propria creatura, conducendola alla conquista del pass europeo.

Molti i nomi sul taccuino del ct, alcuni titolari inamovili e già campioni del mondo con Marcello Lippi (Buffon, Cannavaro, Materazzi, Pirlo, Gattuso, Toni), altri che devono ancora dimostrare qualcosa sul campo, sperando in una convocazione (Del Piero su tutti). Il girone non è dei più facili, ma la formazione azzurra ha dimostato compattezza e determinazione ed è pronta a dar battaglia per arrivare in alto.

Donadoni rifiuta il rinnovo del contratto

Donadoni alza la voce e rifiuta condizioni per il suo contratto. Il mite tecnico di Cisano Bergamasco per la prima volta nella sua carriera usa toni forti e impone le sue regole.
A chi diceva che non era un tecnico di polso, consigliamo di fare due chiacchiere con Abete e vediamo se è ancora dello stesso parere.

Ciò che il boss della Federcalcio voleva imporre al c.t. è un prolungamento del contratto fino al 2010, a condizione che ai prossimi europei l’Italia arrivasse almeno in semifinale.
A quel punto Donadoni ha perso le staffe e ha detto un deciso no a qualsiasi condizione che gli possa togliere serenità, e di conseguenza toglierla anche al gruppo che lo seguirà in Austria e Svizzera.

Gianni Rivera: il Golden Boy del calcio italiano

Non si può parlare di grandi numeri 10, escludendo lui, numero 10 per eccellenza del calcio italiano, considerato a furor di popolo uno dei migliori protagonisti della sua epoca, forse addirittura il più grande del calcio italiano di tutti i tempi. Ho già espresso la mia opinione al riguardo, eleggendo Roberto Baggio a numero uno della mia personale classifica, ma chi ha visto giocare Gianni Rivera è pronto a giurare che un altro come lui non è ancora nato.

Bandiera del Milan, il suo nome verrà ricordato nei secoli accanto a quelli di Franco Baresi e Paolo Maldini, in un club che pure ne ha visti di grandi campioni. 9 stagioni con la maglia rossonera con la quale ha vinto praticamente tutto, portando il Milan ai vertici del calcio italiano e internazionale e togliendosi parecchie soddisfazioni a livello personale.

Proveniva dall’Alessandria, squadra della sua citta natale, ed il suo trasferimento fece notizia: 60 milioni di lire più la cessione di tre giocatori. Stiamo parlando dei primi anni sessanta e nessuno mai era stato pagato tanto. La stampa inglese coniò per lui il soprannome di Golden Boy, che il buon Gianni ancora si porta dietro, sebbene abbia raggiunto le 65 primavere.

Amauri: una nuova freccia all’arco della Nazionale

L’anno scorso si parlava di lui come l’unico in grado di poter fermare l’Inter. Dopodiché si è discusso sul suo lungo infortunio. Passato questo periodo buio, si è tornati a parlarne in chiave mercato, conteso da Juve e Milan.
Non sarà al livello di Bobo Vieri o di Beckham, ma Carvalho de Oliveira, meglio noto come Amauri, sta diventando uno dei calciatori più chiacchierati d’Italia, e forse anche d’Europa.

Il nuovo tema su cui si dibatte a proposito brasiliano è il prossimo cambio di nazionalità. Infatti il nonno del calciatore del Palermo è italiano, e di recente lui ha fatto rivalere le sue origini richiedendo il passaporto del Bel Paese.
A dir la verità in passato Amauri aveva anche strizzato l’occhio al ct della nazionale brasiliana, tentando in tutti i modi di convincerlo a convocarlo tra i verdeoro, anche sperando in una bella figura in Champions addirittura con il Chievo, finita poi male. Ma siccome Dunga probabilmente da quell’orecchio non ci sente, o preferisce in quel ruolo giocatori esperti come Ronaldo, Adriano, Ronaldinho e Robinho, l’attaccante del Palermo si è visto costretto a modificare il tiro, puntando sulla sua seconda nazionalità.

Dino Baggio: l’ascesa, il declino e la rinascita

Parlando di Baggio il primo nome che viene in mente è quello di Roberto, sicuramente uno dei calciatori italiani più conosciuti a livello planetario, ma il calcio italiano ha visto tra i suoi protagonisti anche Dino, centrocampista con discreta attitudine al gol.

Conobbe il suo momento di gloria durante gli anni ’90, passando dal Torino alla Juventus, che lo cederà per un anno in prestito all’Inter prima di richiamarlo in casa, per farne uno dei centrocampisti più forti di quel periodo. Punto fermo della squadra bianconera e della Nazionale, subito dopo i Mondiali del ’94 (ottimi per lui, con tre gol all’attivo), passò al Parma, non senza polemiche.

Carriera in continua ascesa per lui, fino ad un episodio, che secondo i più ha contribuito a far spegnere lentamente i riflettori sul centrocampista, rilegandolo per lo più ad un ruolo di comparsa. Era il gennnaio del 2000 e in Italia imperversava lo scandalo Rolex (gli orologi regalati dalla Roma ai designatori Bergamo e Pairetto, agli arbitri ed ai guardalinee).

Italia-Brasile 3-2: la partita del secolo!

Che strani scherzi fa la memoria, quando si tratta di ricordare qualcosa di così lontano nel tempo! Di anni ne sono passati 26 ed all’epoca ero poco più di una bambina, innamorata di quel pallone che rotolava su un campo verde, di quel calcio lento e statico, che a guardarlo oggi fa veramente sorridere.

Dovrei aver dimenticato determinate immagini, sostituendole nella mente con qualcosa di più recente, con scene che nel tempo sono passate davanti ai miei occhi, regalandomi grandi emozioni. E invece ancora adesso, se mi chiedete qual è la partita che più di ogni altra è stampata nella mia memoria e nel mio cuore, non ho dubbi: Italia-Brasile 3-2! Nessuna come quella mi ha emozionato tanto, nemmeno la finale con la Germania e nemmeno la finale in Germania.
A queste ultime dedicherò dei capitoli a parte nelle prossime puntate, ma ora permettetemi di dar sfogo ai ricordi di quell’afoso pomeriggio d’estate del 1982.

Erano le 17 e 15 del 5 luglio e al Sarrià di Barcellona andava in scena la storia, anche se nessuno lo sospettava, guardando le formazioni schierate a centrocampo al momento degli inni nazionali. La “povera” Italia si apprestava ad essere l’ennesima vittima sacrificale dell’immenso Brasile, che macinava bel gioco e risultati e che poteva permettersi anche di pareggiare, per raggiungere la semifinale. L’Italia veniva invece dalla vittoria con l’Argentina, ma ancora non si era placato lo scetticismo degli addetti ai lavori, inviperiti per le deludenti prestazioni degli azzurri nel girone eliminatorio.

Gianfranco Zola: la fantasia al potere

Grande, grandissimo, nonostante l’altezza dica il contrario. Un numero 10 puro, di quelli che una volta venivano definiti fantasisti e che oggi si preferisce chiamare rifinitori. Ma Gianfranco Zola fantasista lo era davvero, figlio di quella generazione che tanti ce ne ha fatti vedere, ma pochi come lui.

Piedi buoni e classe da vendere, dribbling ubriacanti e punizioni da manuale del calcio, accellerazioni palla al piede da far arrancare qualunque difensore: è questo il ritratto di un uomo che ha dato molto al calcio, più di quanto abbia ricevuto in cambio.

Comincia a giocare nella sua Sardegna, prima nella Nuorese poi nella Sassari Torres, dove viene scoperto da Moggi e portato al Napoli. Tempi d’oro quelli per la squadra partenopea, i migliori in assoluto della sua storia, quando poteva permettersi di schierare gente come Maradona e Careca, Alemao e Ferrara. Zola arrivava all’ombra del Vesuvio con la sua valigia piena di sogni e speranze, prima fra tutte quella di poter indossare un giorno la mitica “numero 10”, seppure con il timore di dover sopportare il paragone continuo con il mito.

Da Beckham a Lavezzi: la tatoo-mania dei calciatori

Sono lontani i tempi in cui il tatuaggio era simbolo di trasgressione o, peggio, di vita da galeotti. Oggi rappresenta una moda ormai consolidata sia tra i vip che tra la gente comune, tanto che non si tende più a nasconderlo, ma anzi si mostra con orgoglio.

E volete che i calciatori si sottraggano a questa tendenza e non approfittino del mestiere che fanno, per esibire i disegni di cui sono ricoperti? Sono veramente pochi gli scampati all’arte del tatoo, forse solo quelli che hanno il terrore degli aghi o che, in controtendenza, preferiscono tenere il proprio corpo “pulito”, ma per i più ogni occasione è buona per ricorrere al tatooist: dalla nascita di un figlio ad un’importante vittoria sul campo.

Il periodo d’oro in questo senso per gli artisti del tatuaggio è stato quello successivo alla vittoria dell’Italia nel Campionato del Mondo, quando praticamente tutta la squadra volle farsi imprimere sul corpo un ricordo di quella notte magica. IX-VII-MMVI il più gettonato, ma anche carte geografiche della Germania, bandiere, dadi e frecce, tutto rigorosamente tricolore!

Santiago Bernabeu: la fabbrica dei sogni

Battiti a mille e occhi arrossati nel nominare quello stadio, che tanta fortuna portò alla causa italiana nel 1982. Era l’Italia di Zoff e Scirea, di Rossi capocannoniere e di Conti miglior giocatore del mondiale, dei baffi tagliati di Gentile e dell’urlo di Tardelli, di Bearzot e Pertini avversari a carte nel viaggio di ritorno verso casa.

Quanti ricordi legati a quello stadio, il cui nome è rimasto impresso nella memoria dei tifosi quasi fosse il dodicesimo della formazione messa in campo nella notte magica di Madrid. Ma passiamo oltre, per evitare che i ricordi ci prendano la mano e si finisca per parlare solo del trionfo mondiale e della Germania annientata, ma vi assicuro che su queste pagine ci sarà un capitolo dedicato ai ricordi ed alle emozioni di quella sera.

Ripartiamo dal titolo e dalla “fabbrica dei sogni”, definizione azzeccata di Alfredo Di Stefano, che al Bernabeu aveva alzato diversi trofei negli anni d’oro del Real.