Nel Milan c’è chi non è contento di Ronaldinho & C., è Gattuso che prepara le valigie

Quando è troppo è troppo. Berlusconi continua ad annunciare l’arrivo di un attaccante dietro l’altro, e tutti sembrano contenti, tranne Gattuso. Il centrale milanista, campione del mondo e addirittura candidato a vincere il pallone d’oro due anni fa, si sente stanco e svogliato di correre per due, e a volte anche per tre.

Non è un mistero che Gattuso ultimamente stia ringhiando più contro Ancelotti che contro gli avversari. Da quando è arrivato Pato la squadra si è molto sbilanciata in avanti, ed è passata da una punta a tre, con Kakà e Ronaldo prima, e con Kakà e Inzaghi o Gilardino (o anche Paloschi) dopo, ad affiancare il giovane brasiliano. E Ringhio non ce la fa più di correre per tutti loro.

Estudiantes-Milan 2-1: caccia a Combin!

Era il 23 ottobre 1969 e si giocava finale di ritorno della Coppa Intercontinentale tra l’Estudiantes ed il Milan. I rossoneri partivano alla volta dell’Argentina forti del 3-0 maturato in casa e quasi certi di riportare il trofeo in patria. Sapevano che gli avversari avrebbero tentato il tutto per tutto per ribaltare il risultato, ma mai potevano immaginare che la partita si sarebbe trasformata in un vero e proprio massacro.

Ma facciamo un passo indietro. Nel Milan giocava Nestor Combin, argentino di nascita, naturalizzato francese, che in quegli anni rappresentava per il suo paese d’origine l’uomo più odiato in assoluto. Che aveva fatto di male? Sei anni prima aveva ricevuto la chiamata alle armi, ma non era mai salito sull’aereo che lo riportava in Argentina per compiere il suo dovere di cittadino. Disertore?

No, perché nel frattempo aveva già svolto il servizio militare in Francia, paese di cui aveva preso la cittadinanza, e i due governi erano d’accordo sul fatto che il giovane avesse pienamente assolto ai suoi obblighi militari. Ma nessun giornale aveva mai menzionato quell’accordo, né all’epoca dei fatti né tantomeno alla vigilia della gara con il Milan. Combin quindi arrivava in sudamerica con la nomea di codardo e traditore. Questo l’antefatto, necessario per spiegare i motivi che trasformarono il terreno della “Bombonera” in un campo di battaglia (e non è un eufemismo!).

Franco Baresi: il simbolo del Milan!

Lo abbiamo visto correre e sudare su e giù per il campo, ultimo baluardo della difesa e capace di proporsi in folate offensive palla al piede; lo abbiamo visto piangere per un Coppa del Mondo buttata al vento nel caldo asfissiante di Pasadena; lo abbiamo visto alzare coppe e trofei e restare il solito umile ragazzo quale era al su arrivo giovanissimo in maglia rossonera.

In un tempo in cui le bandiere avevano ancora un senso, Franco Baresi ha rappresentato più di ogni altro il simbolo di una sqaudra, vestendo la stessa maglia dal giorno dell’esordio a quello del ritiro.

E pensare che l’Inter lo aveva scartato, ritenendolo troppo gracile per uno che pretende di giocare in difesa e preferendogli il fratello Giuseppe. Ma il piccolo Franco non si diede per vinto e volle sostenere un provino anche per il Milan, squadra per cui tifava. Inizia qui il sodalizio tra la squadra rossonera ed il giovane talento, che entrò a far parte a 15 anni della grande famiglia per non uscirne più.

Juventus-Milan 3-2: l’Europa che conta non è per tutti!

Qualche anno fa rappresentavano la più bella della serie A e facevano impazzire le difese di mezza Italia con gol a raffica. Ieri sera Filippo Inzaghi ed Alex Del Piero si sono ritrovati contro, in cerca entrambi di far bene per la causa delle rispettive squadre. Causa che nello specifico si chiama Champions League.

Lo aveva chiesto a gran voce Ranieri nelle dichiarazioni della vigilia, auspicando una reazione d’orgoglio dopo la gara di domenica con il Palermo, in cui la Juve ha raccolto meno di quanto seminato, specie nel secondo tempo, giocato veramente da grande squadra.

Il Milan, da parte sua, cercava la vittoria per restare attaccato al treno del quarto posto e recuperare terreno nei confronti della Fiorentina, impegnata stasera contro l’Inter. Alla resa dei conti, i bianconeri hanno incamerato i tre punti e, a meno di un cataclisma, dovrebbero aver ottenuto la terza piazza. Sfumano invece i sogni del Milan che ora deve sperare nei cugini nerazzurri, se non vuole veder allontanarsi i diretti avversari. Ma veniamo ai dettagli della gara di ieri sera.

Verona-Milan 5-3: la grande beffa

Era il 20 maggio 1973, ultima giornata di un campionato estenuante, combattuto fino alla fine e con lo scudetto ancora da assegnare. La classifica recitava Milan 44, Juventus e Lazio 43: tutte e tre le squadre impegnate in trasferta, per un finale aperto a qualunque risultato.

Il Milan era ospite di un Verona già salvo che non doveva certo giocarsi la partita della vita contro i rossoneri. Del resto, anche nella peggiore delle ipotesi (vittoria di Juventus e/o Lazio e conterporaneo pareggio al Bentegodi) si sarebbe arrivati allo spareggio. Nessuno in casa rossonera ipotizzava la sconfitta. Quel Milan era forte, aveva Nereo Rocco in panchina e poteva contare su Gianni Rivera, regista dai piedi d’oro, in grado di poter cambiare il volto di qualunque gara.

Per di più il mercoledì precedente il Milan era andato in quel di Salonicco a conquistare la Coppa delle Coppe e la vittoria in Europa non poteva far altro che stimolare, in vista di una magica accoppiata.

Ronaldinho: ora c’è anche la Juve, ma a chi serve veramente?

Ronaldinho alla Juventus? E’ il consiglio di Gigi Buffon, affascinato dall’idea di poter ammirare le magie del brasiliano in maglia bianconera. La telenovela, dunque, si arricchisce di una nuova puntata e, dato per scontato il suo addio al Barcellona, le squadre italiane sulle sue tracce diventano tre.

Ma è un affare possibile o, come qualcuno fa giustamente notare, dalle nostre parti non si può sostenere un simile sacrificio economico? Se il Barcellona facesse valere la clausola rescissoria -ormai sui contratti della gran parte dei calciatori-, investire sul brasiliano sarebbe impresa proibitiva per qualunque club.

Chi pagherebbe 130 milioni per assicurarsi le sue prestazioni? Il prezzo però dovrebbe aggirarsi tra i 16 ed i 30 milioni e l’affare a questo punto diventerebbe fattibile anche per i club del Bel Paese, alle prese con continui problemi di bilancio.

Il miglior acquisto del Milan? Paloschi

Perchè andare a cercare i campioni all’estero quando ce l’hai in casa? Nella stanza dei bottoni del Milan si parlava di Ronaldinho, Amauri, o qualche altro sudamericano che potesse fare la differenza nel calcio italiano. E mentre i dirigenti si scambiavano i pareri, c’era un ragazzino che segnava sotto i loro occhi. Unico difetto: essere italiano.

Non si capisce come mai nel calcio dei miliardi (quelli veri) e della globalizzazione si preferisca puntare su nomi esotici, piuttosto che su quelli nostrani. E’ sicuramente quello che si starà chiedendo Paloschi, unico motivo di sorriso della dirigenza rossonera in un’annata disastrosa. Due gol in campionato (in spezzoni di partita), due in coppa Italia, posto “soffiato” a Gilardino e vero e proprio jolly da giocarsi nei momenti di crisi. Carlo Ancelotti non poteva chiedere più di così. Eppure a guardarlo non si direbbe. 1,75 la sua altezza, quella di un centrocampista, non di una punta. 68 i suoi chili di peso, un pò leggerino per essere un ariete. Eppure quando gli avversari se lo vedono arrivare contro cominciano ad avere paura, perchè sanno che è in grado di recuperare la palla in qualsiasi momento, e soprattutto tirare da qualsiasi posizione. E molto spesso segnare, chiedere a Manninger.

Sebastiano Rossi: record di imbattibilità, ma che carattere!

Uno come lui farebbe comodo al Milan attuale, continuamente alle prese con problemi di numeri uno. Ed in effetti, dopo il suo addio pochi hanno saputo dimostrare di essere degni di difendere la porta rossonera. Stiamo parlando di Sebastiano Rossi, portiere tanto forte quanto controverso, con quel suo modo di fare che spesso indispettiva pubblico e critica.

Iniziò la sua carriera nel Cesena, dopo aver avuto negli anni dell’adolescenza una spiccata propensione per il basket, tanto da sfiorare l’ingaggio in A1. Nei primi anni da professionista calcò i campi della serie C con Forlì, Empoli e Rondinella Marzocco, fino al 1986, quando il Cesena lo richiamò in casa per farlo esordire in A l’anno successivo.

Ma fu il 1990 l’anno del grande salto con la cessione al Milan e l’iniziò della carriera stellare. Una stagione da panchinaro dietro l’inamovibile Pazzagli e poi finalmente la maglia numero uno per sei stagioni consecutive, in cui Seba vinse praticamente tutto in Italia ed in Europa: quattro scudetti, di cui tre consecutivi, una Coppa dei Campioni, una Supercoppa Europea e tre Supercoppe italiane.

Ruud Gullit: il tulipano nero

Treccine rasta, sorriso smagliante e battuta pronta ed efficace: è così che si presentava Ruud Gullit al calcio italiano, quando venne acquistato dal Milan di Berlusconi nel 1987. Era l’era di Arrigo Sacchi e del Milan che faceva man bassa di successi in Italia ed in Europa, con una squadra di campioni assoluti, guidati dal fantastico trio olandese.

Il “tulipano nero” proveniva dal Psv Eindoven dove aveva contribuito alla conquista di due campionati olandesi con 68 presenze e 46 reti, mettendosi in mostra fino a conquistare il Pallone d’Oro. Con queste credenziali arrivò nel club rossonero, pronto a dimostrare la sua grandezza assoluta come regista della squadra e punto di riferimento in mezzo al campo al fianco del connazionale Rijkaard. Possente fisicamente, esplosivo nella falcata, inarrestabile palla al piede, prediligeva il ruolo di trequartista, ma si adattava a giocare anche da seconda punta.

Fu subito amore con la curva rossonera e fu subito successo in campionato, nonostante l’avversaria di quegli anni si chiamasse Napoli ed il suo alter ego azzurro fosse un certo Maradona.

Ronaldo non sarà più il Fenomeno: parola di Pelè!

E’ un peccato, ma non credo che Ronaldo tornerà a giocare come prima.

A parlare è Pelè, intervistato durante la cerimonia in cui è stato eletto ambasciatore della Coppa Libertadores. Fine della carriera dunque per il Fenomeno? A sentire il tre volte campione del mondo sembrerebbe proprio di si, soprattutto in considerazione dei tanti infortuni subiti in passato e dell’età non più giovanissima del rossonero.

Ricordo che dopo il primo infortunio, nel 2000, andai a trovarlo: recuperò e disputò un Mondiale straordinario appena due anni più tardi. La medicina ha fatto progressi, ma è anche vero che lui ha qualche anno in più. Mi piacerebbe rivederlo al 100%, ma purtroppo credo che le cose andranno diversamente.

In realtà i guai infiniti di Ronaldo iniziarono ben prima dell’episodio raccontato da Pelè. Era il 1998 quando rientrò dal Mondiale di Francia con una tendinopatia rorulea che necessitava di un’operazione. Ma i tempi si allungavano e lui continuava a sottoporre il ginocchio a sforzi e carichi di lavoro, fino a quando il tendine subì una parziale lacerazione.