Fabio Capello: la fama del vincente

Siamo così abituati a vederlo in giacca e cravatta su una panchina, che spesso ci dimentichiamo del Fabio Capello giocatore, grande numero 10 degli anni ’60-’70. La sua storia calcistica inizia con un gran rifiuto: lo cercava il Milan, ma suo padre aveva già promesso il ragazzino alla Spal e l’affare sfumò.

La grande occasione la ebbe con il passaggio alla Roma, nonostante una prima stagione non esaltante, in cui riuscì a collezionare solo 11 presenze. Poi arrivò Helenio Herrera sulla panchina giallorossa e Capello divenne il fulcro centrale della squadra: ottavo posto in campionato, abbondantemente riscattato con la conquista della Coppa Italia, con due gol proprio del talento di Pieris nell’ultima gara del girone finale.

Centrocampista di qualità, senso tattico e ottima visione di gioco, oltre alla spiccata propensione al gol: queste le caratteristiche di Fabio Capello, che accumulò nella capitale l’esperienza necessaria per compiere il grande salto.

Liam Brady: un gentleman alla corte della Vecchia Signora

Era il 1980 e l’Italia ricominciava a parlare straniero, dopo anni di strenuo nazionalismo. La Juve tentò di arrivare a Diego Armando Maradona, intoccabile, inavvicinabile, ed il viaggio in Argentina di Boniperti si rivelò vano. La scelta cadde dunque su Liam Brady, irlandese dell’Arsenal, che tanto bene aveva fatto in terra inglese, tanto che il suo presidente tentò in tutti i modi di trattenerlo.

Sette stagioni con i Gunners, impreziosite dalla conquista nel 1979 della Coppa d’Inghilterra che gli valse, a livello personale, l’elezione a giocatore dell’anno. Ma il richiamo della Vecchia Signora era troppo ghiotto da rifiutare ed il 31 luglio del 1980 Liam sbarcò all’aeroporto di Caselle, pronto per la nuova avventura.

In panchina c’era Trapattoni a guidare una squadra di campioni affermati e di giovani promesse. Rossi, Bettega, Cabrini, Tardelli, Furino, Fanna: sono solo alcuni dei nomi della Juventus di quegli anni, ma, nonostante la fama dei suoi compagni di squadra, Brady riuscì ad inserirsi in fretta.

Agostino Di Bartolomei: Il Capitano

Forte fisicamente, centrocampista roccioso, come si diceva all’epoca, con una visione di gioco fuori dal comune, un tiro potente e preciso ed un lancio che qualcuno definì “da architetto”: questo era Agostino Di Bartolomei, non un capitano, ma “il Capitano”, colui che meglio seppe interpretare il ruolo di leader in campo e fuori nella Roma degli anni ’70-’80.

Pochi come lui nel calcio, il suo nome viene accostato spesso a quello di Gaetano Scirea, altro esempio di correttezza e lealtà sportiva, di amore per la professione e senso del dovere.

Agostino nasce e cresce nella Roma povera, quella dei quartieri e della periferia degradata, ma l’amore per il calcio non ha bisogno di grandi palcoscenici per venire espresso ed il campo dell’oratorio è perfetto per mettere in mostra le doti del giovane talento. Poi arriveranno le giovanili della Roma, la conquista del Campionato Primavera e l’esordio, appena diciassettenne, in prima squadra, con quella maglia a cui ha regalato i migliori anni della sua vita, non venendo ripagato come avrebbe meritato (almeno da parte della società).

Aspettando Spagna-Italia tra polemiche e certezze

Siamo alle solite. Alla vigilia dei grandi impegni internazionali tutta l’Italia cambia professione, trasformandosi improvvisamente in una terra di allenatori, in grado di decidere chi portare e chi no nella comitiva azzurra. Lo sa bene chi siede su una panchina e cerca di scegliere secondo i propri canoni e senza farsi influenzare dall’opinione popolare, ma le polemiche non possono non condizionare l’ambiente.

E così il buon Donadoni dovrà sopportare da qui a giugno il peso della domanda “Del Piero si o Del Piero no?”. L’ennesima esclusione del numero 10 juventino, infatti, è stata accolta con disappunto dalla critica, soprattutto in considerazione dell’ottima prestazione nell’ultima gara contro l’Inter, dove Alex ha dimostrato di essere in forma smagliante, surclassando il diretto marcatore, Materazzi.

Ironia della sorte, il difensore è stato convocato, mentre il bianconero è rimasto a casa! Non che Marco non meriti la nazionale, ci mancherebbe, ma la sensazione è che le scelte del ct non dipendano esclusivamente dal momento di forma di ciascun calciatore. Riuscirà il capitano bianconero a conquistare una maglia per la spedizione in Svizzera e Austria? Staremo a vedere, ma per ora l’obiettivo è quello di far bene stasera nella gara contro la Spagna, dove Donadoni proverà la formazione che più si avvicina all’undici titolare dei prossimi Europei.

Alessandro Del Piero: l’uomo dei record!

Avrei voluto festeggiare con un gol il raggiungimento del record di Gaetano Scirea, però mi sono mangiato una grossa occasione.

Questa la dichiarazione di Alessandro Del Piero dopo la gara di sabato contro l’Inter, che ha sancito la vittoria della Juventus e la sua personale soddisfazione per aver raggiunto, in termini di presenze, il record dell’indimenticato capitano degli anni ’70-’80. Non ce l’ha fatta a festeggiare con un gol, ma l’impresa sportiva resta e va ad aggiungersi agli innumerevoli primati conquistati nel corso degli anni con la maglia bianconera.

231 i gol segnati, che ne fanno il miglior marcatore nella storia della Juventus. Di questi, 44 nelle competizioni internazionali (altro record) sempre con la maglia della Vecchia Signora; 27 gol in nazionale, quarto di sempre (a pari merito con Roberto Baggio) e bomber più prolifico tra i calciatori in attività con la maglia azzurra. Ed ora è arrivato il gettone numero 552, che lo pone al primo posto nella classifica delle presenze totali. In un calcio dove le bandiere non sono che un lontano ricordo, Alessandro Del Piero rimane fedele alla maglia che è diventata ormai una seconda pelle.

Ruud Gullit: il tulipano nero

Treccine rasta, sorriso smagliante e battuta pronta ed efficace: è così che si presentava Ruud Gullit al calcio italiano, quando venne acquistato dal Milan di Berlusconi nel 1987. Era l’era di Arrigo Sacchi e del Milan che faceva man bassa di successi in Italia ed in Europa, con una squadra di campioni assoluti, guidati dal fantastico trio olandese.

Il “tulipano nero” proveniva dal Psv Eindoven dove aveva contribuito alla conquista di due campionati olandesi con 68 presenze e 46 reti, mettendosi in mostra fino a conquistare il Pallone d’Oro. Con queste credenziali arrivò nel club rossonero, pronto a dimostrare la sua grandezza assoluta come regista della squadra e punto di riferimento in mezzo al campo al fianco del connazionale Rijkaard. Possente fisicamente, esplosivo nella falcata, inarrestabile palla al piede, prediligeva il ruolo di trequartista, ma si adattava a giocare anche da seconda punta.

Fu subito amore con la curva rossonera e fu subito successo in campionato, nonostante l’avversaria di quegli anni si chiamasse Napoli ed il suo alter ego azzurro fosse un certo Maradona.

Ronaldo non sarà più il Fenomeno: parola di Pelè!

E’ un peccato, ma non credo che Ronaldo tornerà a giocare come prima.

A parlare è Pelè, intervistato durante la cerimonia in cui è stato eletto ambasciatore della Coppa Libertadores. Fine della carriera dunque per il Fenomeno? A sentire il tre volte campione del mondo sembrerebbe proprio di si, soprattutto in considerazione dei tanti infortuni subiti in passato e dell’età non più giovanissima del rossonero.

Ricordo che dopo il primo infortunio, nel 2000, andai a trovarlo: recuperò e disputò un Mondiale straordinario appena due anni più tardi. La medicina ha fatto progressi, ma è anche vero che lui ha qualche anno in più. Mi piacerebbe rivederlo al 100%, ma purtroppo credo che le cose andranno diversamente.

In realtà i guai infiniti di Ronaldo iniziarono ben prima dell’episodio raccontato da Pelè. Era il 1998 quando rientrò dal Mondiale di Francia con una tendinopatia rorulea che necessitava di un’operazione. Ma i tempi si allungavano e lui continuava a sottoporre il ginocchio a sforzi e carichi di lavoro, fino a quando il tendine subì una parziale lacerazione.

Giancarlo Antognoni: un campione di sfortuna!

Idolo della Fiorentina, nessuno come lui nel cuore dei tifosi viola, vera bandiera di una squadra in cui è stato spesso l’unica stella a brillare: questo era Giancarlo Antognoni, uno dei più grandi numeri 10 a cavallo tra gli anni ’70-’80.

Nils Liedholm lo volle fortissimamente alla Fiorentina, dopo averlo visto in azione a Coverciano durante gli allenamenti della nazionale juniores. 453 milioni sborsati dall’allora presidente Ugolino Ugolini per strapparlo al Torino, che aveva da tempo messo gli occhi su quel ragazzino elegante e talentuoso.

Il ragazzo che gioca guardando le stelle.

Così lo definì Vladimiro Caminiti, e l’incedere a testa alta era solo uno tanti punti di forza del giovane Antognoni, che eccelleva nel ruolo di regista grazie alla straordinaria visione di gioco, ai lanci lunghi e millimetrici, alla falcata elegante ed imperiosa. Un numero 10 che amava mettersi al servizio della squadra più che tentare la soluzione personale.

Michel Platini: le Roi

C’è chi sostiene che Platini non sarebbe stato Platini, se non avesse giocato nella Juventus. Tutte storie! La verità è che Michel Platini “era il calcio”, uno dei più grandi numeri 10 che si sia mai visto calcare un campo di gioco.

Cresciuto calcisticamente in Francia (nel Nancy prima, nel Saint Etienne poi), venne fortissimamente voluto dall’Avvocato Gianni Agnelli, che lo aveva visto giocare e si era innamorato di quel brunetto riccioluto, tutto classe ed eleganza. Arrivò alla Juventus nel 1982, in una squadra che vantava la presenza di sei freschi Campioni del Mondo, di fronte ai quali la sua stella poteva essere offuscata. Così non fu e, dopo un primo periodo di comprensibile ambientamento, riuscì ad imporre il suo ruolo di leader, prendendo per mano la squadra e trascinandola verso i più alti successi in campo italiano e internazionale.

Era un centrocampista capace di segnare quanto e più di un attaccante (tre volte capocannoniere del campionato italiano), ma da buon regista non negava l’ultimo passaggio per il compagno libero. Di lui i compagni dicevano che avrebbero potuto anche chiudere gli occhi ed aspettare in area avversaria, perché Michel sarebbe stato capace di segnare, usando i loro corpi come sponda.

Da Pelè a Bobby Moore: la scaramanzia nel calcio (capitolo secondo)

Aruna Dindane non segna più? Colpa di un maleficio! Sembra una storia di altri tempi e invece stiamo parlando di un calciatore ivoriano, attualmente in forza al Lens, che dall’ 8 dicembre scorso non riesce più a buttarla dentro, nonostante faccia il bomber di professione. Per tentare di liberarlo dall’influenza malefica di qualche marabutto, sono state sacrificate due povere pecore ed un tacchino, ma sembra che non si sia ottenuto il risultato sperato.

Lo so, viene da sorridere, ma la superstizione fa parte da sempre del mondo del calcio, anche se pochi ammettono di avere dei riti propiziatori, per attirare la fortuna ed allontanare i guai.

Ne avevamo già parlato tempo fa, ma gli episodi sono tali e tanti, che forse vale la pena dedicare un secondo capitolo all’argomento. E non aspettatevi solo nomi semi-sconosciuti tra queste righe, perché la scaramanzia non ha risparmiato nemmeno giocatori come Pelè o Bobby Moore, che certo non avevano bisogno di talismani per dimostrare il proprio valore in campo.