Clarence Seedorf: nato per vincere

Solo qualche giorno fa ha rischiato di perdere il diritto di essere inserito nella nostra consueta rubrica del lunedì, ma poi Clarence Seedorf è riuscito a resistere e a tenersi stretto quel numero 10 tanto caro.

Naturalmente stiamo scherzando. Nessuno lo avrebbe mai costretto a cedere la sua maglia, nemmeno se il pretendente ad indossare il numero magico si chiama Ronaldinho. E comunque, un posto su queste pagine lo avrebbe trovato ugualmente, perché alla fine contano i numeri che si hanno nei piedi, non quello sulle spalle.

E Clarence Seedorf di numeri ne ha mostrati molti nel corso della sua lunga carriera, sin dagli esordi quando appena sedicenne gli venne consegnato il compito di incantare le platee olandesi con la maglia dell’Ajax. Erano anni d’oro per il club di Amsterdam, che grazie ai suoi giovani campioni inseguiti da mezza Europa, riuscì ad infilare importanti successi sia in patria che a livello internazionale.

Francesco Totti tra recupero e campagna acquisti

Prosegue senza sosta il recupero di Francesco Totti che sin dal giorno dell’intervento al ginocchio ha sempre ammesso di voler bruciare le tappe, per poter tornare quanto prima ad essere utile alla causa giallorossa.

Nell’ultima parte della scorsa stagione l’assenza del capitano ha pesato non poco sull’equilibrio della squadra, sebbene la Roma sia arrivata a sfiorare il colpaccio proprio all’ultima giornata.

Ma questo fa parte del passato: ora c’è una nuova avventura da vivere e Totti vuole farsi trovare pronto all’appuntamento, a cominciare dal primo impegno ufficiale, il 24 agosto in Supercoppa.

Adrian Mutu: tante maglie, un solo talento

Ad Europeo concluso, riparte la nostra rubrica dedicata ai numeri 10, anche se la lista dei nomi si va via via assottigliando, a causa dell’ormai consolidata abitudine di indossare maglie con numeri “personalizzati”, sempre più lontani dalle care casacche numerate dall’1 all’11.

Qualcuno però ancora non riesce a resitere alla tentazione di indossare il numero che fu dei grandi campioni come Pelè o Maradona, Platini o Zico, nella speranza di emularne le gesta.

Tra questi Adrian Mutu, fantasista della Fiorentina e della nazionale rumena, affezionato al numero che in patria fu di un altro grande campione, forse il miglior rumeno del secolo, George Hagi.

Dennis Bergkamp: bidone o campione?

Ci fu un tempo in cui il suo nome faceva tremare le gambe ai difensori di qualunque squadra. Poi arrivò all’Inter, confermando il sospetto che voleva il club nerazzurro come rovina-campioni. E poi ancora l’Arsenal, dove la sua stella tornò a brillare ed il suo nome a far paura.

In poche righe la parabola calcistica di Dennis Bergkamp, uno dei più forti talenti che l’Olanda abbia mai partorito. Parentesi italiana a parte, naturalmente.

Nacque calcisticamente nell’Ajax, diventando da subito uno dei punti di riferimento di una squadra che all’epoca terrorizzava l’Europa intera. In sette anni è riuscito a conquistare un titolo olandese, due Coppe d’Olanda, una Supercoppa, una Coppa delle Coppe ed una Coppa Uefa, nonché, a livello personale, tre volte di fila la classifica cannonieri.

Ronaldinho alle Olimpiadi!

Il suo nome ha scaldato le pagine dei giornali per gran parte dell’inverno. Fiumi di inchiostro sono stati spesi intorno al calciatore considerato fino a qualche tempo fa il migliore del mondo, ma alla fine Ronaldinho è rimasto dov’era, per la delusione sua e di chi aveva contato sul suo apporto per la seconda parte della stagione.

Da allora solo poche apparizioni in maglia blaugrana per il talento brasiliano, afflitto da tempo da problemi muscolari, non sempre accettati da parte della società, che vedeva in questi solo un capriccio.

Fatto sta che Dinho nell’ultima parte della stagione ha fatto l’infortunato di lusso, lasciando che il Barcellona naufragasse tra prestazioni deludenti e contestazioni ripetute. Nel frattempo l’interesse dei grandi club per il brasiliano sembra essere sceso vertiginosamente, sia per il prezzo esagerato, sia per le voci sulle sue condizioni fisiche. Sarà per questo che ora Ronaldinho chiede di giocare, per dimostrare di essersi lasciato alle spalle i guai che ne hanno condizionato l’ultima stagione. E quale occasione migliore per mettersi in mostra, se non l’Olimpiade del prossimo mese?

Hakan Yakin: eroe svizzero

Ad essere sinceri, non meriterebbe un posto in questa rubrica, solitamente dedicata ai grandi numeri 10, a quelli cioè capaci di incantare le platee con le loro giocate mirabolanti.

Per quanto dimostrato ieri sera, però, un capitolo su Hakan Yakin ci sta tutto e non tanto perché abbia strabiliato con magie da giocoliere, ma perché è riuscito a regalare alla sua Svizzera la prima vittoria in una gara della fase finale degli Europei.

Certo, mi direte che si giocava in un clima da amichevole estiva e che gli avversari non avevano alcun interesse a guadagnare i tre punti, visto che già qualificati come primi del girone, ma il numero 10 si è comunque guadagnato un posto speciale nei cuori dei tifosi svizzeri.

Mister, un Del Piero così merita la maglia!

Un destino nel numero, quel dieci che si porta sulle spalle e che molti dicono non gli appartenga. Ha vinto tutto in carriera. Di tutto e di più. Ha segnato e fatto segnare. è caduto nell’inferno più buio di un infortunio che poteva costargli la carriera, si è rimesso in piedi e, dato ormai per finito, ha ricominciato a macinare gol, assist, spettacolo e magie, con l’umiltà che appartiene solo ai grandi campioni.

Dicevamo però un destino nel numero e Del Piero spesso è stato considerato un nove e mezzo (così lo definì Platinì) e messo fuori posizione, lì dove non ama giocare.

Ha riconquistato la Nazionale a suon di gol, imponendosi negli ultimi due anni come il miglior bomber italiano, prima in serie B, poi ripetendosi nella massima serie. Una quarantina di reti in due stagioni: quante altre nazionali si possono permettere di schierare un attaccante di questo livello? Eppure Del Piero non viene schierato, è confinato lì in panchina con un titolo che sa di beffa, capitano non giocatore. Ma che senso ha?

Lothar Matthaus: il recordman del calcio tedesco!

La sua maglia preferita era quella con il numero 8, ma Giovanni Trapattoni lo convinse ad indossare il 10. No, troppo da fantasisti, sosteneva il giovane Lothar Matthaus, che non pensava affatto di avere nei piedi quel qualcosa in più che era toccato in dote a giocatori come Maradona o Platini, tanto per citarne due.

Ma il buon Giuan faceva notare che quella era anche la maglia del leader in campo e lui lo era: chi meglio del tedesco poteva assumere i gradi del condottiero?

E così Matthaus accettò la carica e si calò nel ruolo di trascinatore, non abbandonando mai la maglia numero 10, neppure quando fu costretto ad abbondonare l’Inter.

Rivaldo: un fenomeno, ma non per tutti!

La maglia numero 10, quella più ambita, più desiderata, quella che più fa sognare i tifosi, scatenando appalusi. Nel’immaginario collettivo è la maglia dei calciatori di maggior talento, ma anche di quelli destinati a non veder riconosciuto pienamente il proprio valore. Non sempre, ma spesso.

E’ il caso di Rivaldo, considerato da molti come uno dei più grandi campioni che abbiano mai calcato un campo di calcio, e da altri come un’emerita mezza cartuccia, arrivato in alto solo grazie ad una buona dose di fortuna.

In realtà il primo Rivaldo, quello che correva dietro ad una palla nel club brasiliano del Santa Cruz, era tutt’altro che un fenomeno e, complice anche un fisico debole e mingherlino, finiva spesso per scaldare la panchina. Una specie di palla al piede per i dirigenti che non sapevano proprio come liberarsi di quel peso morto.

La Bombonera: gioiello argentino!

Dopo la presentazione degli stadi che ospiteranno gli Europei del prossimo mese, continuiamo il nostro viaggio alla scoperta degli impianti più suggestivi del mondo. Finora abbiamo dato ampio spazio agli stadi in giro per l’Europa, dimenticando che anche in Sudamerica, ad esempio, vi sono strutture altrettanto importanti, per cui vale la pena spendere due parole.

Stavolta quindi facciamo tappa a Buenos Aires per visitare la Bombonera, uno stadio che ha fatto la storia del calcio argentino ed ha visto giocare grandi campioni di tutte le epoche, primo fra tutti Diego Armando Maradona.

Cominciamo col dire che il curioso nome dell’impianto è un realtà un soprannome, affibbiatogli da uno degli architetti ed è dovuto alla sua somiglianza con una scatola di bombones (cioccolatini), che l’architetto stesso ricevette in regalo il giorno prima dell’inaugurazione.

Manuel Rui Costa: uomo-assist e classe da vendere

In una rubrica dedicata ai numeri 10 non poteva certo mancare un capitolo su uno dei migliori interpreti degli ultimi venti anni, Manuel Rui Costa, portoghese di nascita, brasiliano nel tocco di palla.

Scoperto e sponsorizzato direttamente dal più grande portoghese di sempre (Eusebio), il talento lusitano ha mosso i suoi primi passi nella squadra del Benfica per la quale faceva il tifo sin da ragazzino e con quale ha chiuso la carriera qualche giorno fa.

Tra la partenza ed il ritorno nella squadra del cuore, Rui Costa ha vissuto 12 anni da italiano, (Fiorentina e Milan) e lasciando un ricordo indelebile nei cuori di chi ha potuto ammirare le sue magie in campo.

Maradona show a Cannes!

Ennesimo show di Maradona dopo i tanti, tantissimi ammirati con la palla tra i piedi nei suoi anni migliori. Stavolta il pallone lo usa solo per la gioia dei fotografi appostati ai lati della passerella: uno, due, dieci palleggi per dimostrare che la magia di quel piede sinistro non si arrende all’età che passa.

Ieri a Cannes gli occhi erano puntati solo di lui, neanche fosse un attore di grido o un’attrice da sogno. Eppure c’era curiosità per il documentario sulla sua vita presentato dal regista serbo Kusturica al Festival francese.

Un docu-film di 90 minuti che farà discutere non poco, come sempre del resto quando ad aprire bocca è sua Maestà, Diego Amando Maradona. Ne ha per tutti il Pibe de Oro: da Matarrese a Pelè, fino a toccare temi internazionali che fanno riflettere sullo stapotere Usa. Gli si può rimproverare tutto, ma bisogna ammettere che, pur nella sua visione contorta di determinati eventi, qualche verità l’ha sempre detta, esponendosi in prima persona.