Gascoigne: il tormentone continua tra accuse e smentite

Ciak si gira: caso-Gascoigne, capitolo sesto. Confessiamo che la storia comincia ad annoiarci, ma ogni giorno arrivano novità succulente dalla terra di Sua Maestà e non possiamo proprio evitare di tornare sull’argomento.

Cosa c’è di nuovo sotto il sole? L’ennesima smentita della signora Gascoigne, che proprio non ci tiene a passare per bugiarda e sfruttatrice delle altrui disgrazie e restituisce le accuse al mittente:

Paul deve smetterla di lamentarsi e di dire che lui non era d’accordo con il programma Surviving Gazza, perché l’intera faccenda è stata una sua idea. Quelli dello show erano venuti da me, mentre lui era in clinica, dicendomi che volevano raccontare la mia storia, ma io risposi di no. Una settimana più tardi, però, Paul mi disse che ci teneva a fare quel documentario lui stesso e così accettai di lasciarli filmare a casa mia per qualche mese. Ma tutto quello che Paul voleva fare era uscire per andare a bere, non era mai a casa e così i protagonisti siamo diventati noi. E’ terribile che la gente pensi che lo abbiamo fatto per un guadagno economico e per colpire Paul. Tutto questo non è mai stata una nostra scelta.

Il ritorno di Jean-Pierre Papin

C’è un nuovo iscritto al club di quelli che proprio non riescono a smettere di correre dietro ad un pallone che rotola. Passano gli anni, magari si prova a fare qualcosa d’altro, ma poi il richiamo del campo è così forte che proprio non si riesce a resistere.

Il neo-iscritto risponde al nome di Jean-Pierre Papin, uno dei migliori attaccanti che abbiano mai calcato i campi di calcio francesi e non solo.

Aveva dato l’addio al calcio qualche anno fa, all’alba dei 40 anni, provando poi la carriera da allenatore. Oggi di anni ne ha 45 e vuole tornare ad indossare calzoncini e maglietta, per vivere ancora l’emozione del calcio giocato in una squadra di dilettanti.

Il ritorno di Gascoigne: a Natale solo e ubriaco in un hotel

Tutto è bene quel che finisce bene. Bene per modo di dire, visto che di mezzo c’è Paul Gascoigne, il cui nome da anni è simbolo di guai a non finire. Quello che ci preme sottolineare, però, è che l’ex campione della nazionale inglese è tornato a farsi vivo, dopo aver fatto preoccupare amici e parenti per qualche giorno.

Ricordate la storia? Gazza era in un centro specializzato nella cura delle dipendenze, intenzionato ad uscir fuori dal tunnel di alcolismo nel quale si è infilato da diverso tempo. Per Natale gli era stato concesso di recarsi a casa della madre, ma sembrava aver perso la strada, non lasciando tracce dietro di sé.

Dove si era cacciato? A rivelarlo è lo stesso giocatore in una serie di telefonate ai familiari, nelle quali ha ammesso di essere rimasto scioccato dalle frasi pronunciate da suo figlio Regan e di aver per questo deciso di fermarsi in un albergo, per affogare i dispiaceri nell’alcol (e ti pareva!)

Gascoigne è sparito nel nulla

Ci risiamo. Pare che la parabola discendente di Paul Gascoigne non abbia mai fine ed ancora una volta siamo costretti a raccontarne il peggio. Per un po’ di tempo avevamo perso le tracce dell’ex campione inglese, dopo averne parlato e riparlato per mesi interi. Dove si era cacciato nel frattempo?

A sentire i tabloid inglesi, Gazza si era rifugiato in una clinica del Gloucestershire, convinto finalmente ad uscire dai problemi di alcol e depressione che lo affliggono da tempo. Convinto? Così dicono…

La terapia prevedeva l’isolamento dal mondo esterno e la cosiddetta “Equine Assisted Psycotherapy”, ovvero un programma di riabilitazione basato sul dialogo con i cavalli. E Gazza sembrava rispondere così bene alle cure, che i medici avevano deciso per tre giorni di licenza premio, permettendogli di trascorrere almeno il Natale in famiglia. Peccato però che non sia mai arrivato a casa, facendo perdere le proprie tracce…

Pessotto racconta il suo dramma

Era il 27 giugno 2006. L’Italia era incollata alla tv per seguire le sorti della Nazionale Italiana, impegnata nel Mondiale tedesco alla ricerca del suo quarto titolo. Ma quel giorno un’altra notizia “sportiva” fece rapidamente il giro dei palinsenti, occupando persino le pagine di cronaca: Gianluca Pessotto, ex giocatore della Juventus, era volato giù dal tetto della sede della società bianconera, tentando di togliersi la vita.

Un gesto insiegabile che gettò nello sconforto il mondo del pallone, specie chi con con lui aveva condiviso gioie e dolori all’interno dello spogliatoio nei tanti anni di militanza in maglia bianconera. Tra questi, Fabio Cannavaro, capitano della Nazionale di Lippi, che appena ricevuta la notizia abbandonò incredulo la conferenza stampa. Poi tante manifestazioni d’affetto nei confronti del difensore bianconero, tanti striscioni che lo invitavano a non mollare, tante e tante visite all’ospedale torinese che lo ospitava. E poi ancora il lento recupero ed il “nuovo esordio” nel mondo del calcio, nelle vesti di team manager della Juventus.

Da quel triste giorno sono passati più di due anni ed ora che tutto è alle spalle, Gianluca è pronto ad affrontare l’argomento-suicidio, raccontandosi davanti alle telecamere di “La storia siamo noi”, in onda questa sera su Rai2.

Le verità di Zidane, dalla testata al doping

Un’immagine che ha fatto esultare milioni di italiani, l’ultima di Zinedine Zidane su un campo di calcio da professionista. Quel 9 luglio 2006 doveva segnare il suo addio al mondo del pallone e mai nessuno poteva immaginare di dover assistere ad una scena tanto triste. Non che gli italiani si augurassero di regalargli la gioia più grande nel momento dell’addio, ma un applauso finale per la sua lunga e gloriosa carriera forse lo avrebbe meritato.

Così non fu, purtroppo per lui. Colpa di uno spilungone che ha osato offendere l’onore della sua famiglia, provocando una reazione esagerata e fuoriluogo da parte del campione francese, che, a distanza di due anni, torna sull’argomento e ammette le proprie responsabilità:

Ho chiuso la carriera su un’immagine molto triste, non è stata una bella fine. Per fortuna ho fatto altro prima e con questo mi salvo un po’. Anche se sono stato insultato, la mia reazione non era giustificata. Ma la provocazione andrebbe punita. Non sento ingiustizia, ma non era la cosa da fare.

Da Ballotta a Chiesa: quelli che non riescono a smettere

Quante volte ci siamo domandati che fine abbia fatto questo o quel giocatore, scoprendo magari che era finito ad ammuffire in qualche ufficio, riciclato dalla società per cui aveva giocato o magari mandato a scoprire giovani talenti nei più sperduti angoli del pianeta?

Eh si, perché per chi vive di solo calcio è difficile svegliarsi una mattina e scoprire che esiste un mondo fuori ed è per questo che molti decidono di restare nell’ambiente, seppure con compiti lontani anni luce dalle proprie inclinazioni.

Ma in mezzo a tanti che cambiano mestiere, restando nel giro, c’è anche chi proprio non riesce a staccare la spina, chi ha bisogno di correre dietro ad un pallone che rotola, anche se la carta d’identità consiglierebbe di dedicarsi ad attività più sedentarie. Recentemente abbiamo letto su tutti i giornali la storia di Marco Ballotta, già considerato un nonno ai tempi della Lazio, ma con tanta birra in corpo da tentare l’avventura con il Calcara Samoggia in Prima Categoria. E non è l’unico.

La favola di Savidan sulle orme di Torricelli

Ricordate la favola di Moreno Torricelli? Nei primi anni ’90 lavorava come magazziniere in una fabbrica di mobili, dilettandosi con il pallone a livello poco più che amatoriale nelle fila della Caratese. Un bel giorno, come nelle migliori favole appunto, la sua squadra si ritrovò ad affrontare un’amichevole contro la Juventus. Niente di particolarmente impegnativo: un’allegra sgambata con autografi e foto ricordo finali per dei ragazzi abituati ai campi in terra ed alle trasferte con le auto private.

Ma per Torricelli fu la svolta. Mister Trapattoni rimase talmente impressionato dalle doti atletiche e dalla grinta messa in campo dal difensore, che volle invitarlo al ritiro precampionato, convicendo poi la società ad acquistarlo per pochi milioni di lire.

Un bel salto per il giovane Torricelli, che si ritrovò improvvisamente catapultato nel calcio che conta tra i campioni che fino ad allora aveva potuto ammirare solo in tv. Ed invece divenne uno dei protagonisti e riuscì a togliersi anche parecchie soddisfazioni: 3 campionati, 2 Coppe Italia (di cui una con la Fiorentina), 2 Supercoppe Italiane, 1 Coppa Uefa, 1 Champions League, 1 Supercoppa Europea ed 1 Coppa Intercontinentale, oltre alla soddisfazione di aver ricevuto 10 convocazioni in nazionale.

Savicevic, da Genio a Presidente volontario

Sembra ieri, eppure sono passati dieci anni da quando Dejan Savicevic impartiva lezioni di calcio sui campi italiani, svolazzando di qua e di là con classe sopraffina. Lo chiamavano il Genio, uno degli ultimi interpreti di un calcio fatto di estro ed eleganza, a prescindere da qualunque schema tattico.

Con il Milan ha vinto tutto, risultando spesso determinante con le sue giocate di alta classe, come quando nel ’94 ad Atene segnò uno dei più bei gol della sua carriera, umiliando il Barcellona di Cruyff.

Una vita fa. Ora Dejan, a poco più di 40 anni, ha cambiato mestiere e si sta misurando con il ruolo di Presidente della Federcalcio Montenegrina.

Gazza, 10 mesi di declino

Ancora Paul Gascoigne a tenere banco sulle prime pagine dei giornali, in quella che potrebbe essere una delle sue ultime apparizioni mediatiche. Non per fare da menagrami, ma se continua di questo passo, tra non molto ci toccherà preparare un elogio funebre dell’ex campione inglese, sempre più alle prese con i guai legati all’abuso dell’alcol.

E’ di un paio di giorni fa la notizia dell’ennesimo arresto per aggressione e danneggiamenti, che lo porterà probabilmente al terzo ricovero in pochi mesi. Ma questa non è che la punta dell’iceberg.

Difficile trovare una data di inizio per il suo declino, visto che già da quando correva dietro ad un pallone era ben noto ai paparazzi per le sue notti brave all’interno di locali più o meno alla moda. Lo salvava all’epoca il fatto di saper incantare le folle con le sue giocate, di fronte alle quali tutto passava in secondo piano. Ma ora non ha più scudi dietro i quali ripararsi e a guardarlo sembra solo la controfigura del campione ammirato sul campo.

Toni Polster: dal campo alla musica

Avreste mai sospettato che avrebbe continuato ad incantare le platee anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo? Stiamo parlando di Toni Polster, noto da queste parti per aver giocato un anno nelle file del Torino, dove però non riuscì a confermare le doti di bomber di razza, segnando la miseria di 9 reti.

Ma ora il suo passato conta poco. Quel che conta realmente è la passione che mette in tutto quello che fa, continuando a strappare applausi e consensi, anche lontano dal mondo del calcio.

Il suo presente si chiama Achtung Liebe, band austriaca di discreto successo, presente sulla scena dal 2002. Toni è l’ultimo acquisto del complesso musicale e la sua presenza si fa sentire a livello internazionale. Chi non sarebbe curioso di ammirare il cannoniere mentre si esibisce in virtuosismi canori?

Renato Cesarini e quei gol all’ultimo minuto

La vittoria conquistata ieri sera in quel di Cipro, proprio allo scadere del tempo, ci fa tornare in mente un modo di dire che è entrato a far parte del linguaggio comune e che sta ad indicare una rete realizzata proprio negli ultimi minuti di gioco: la zona Cesarini. Ma sapete chi era Cesarini e perché è stato coniato questo modo di dire?

Era il dicembre 1931 e l’Italia affrontava quella che all’epoca era considerata la mitica Ungheria. Renato Cesarini, classe 1906, nato in Italia e trapiantato in Argentina, segnò una rete proprio al 90° minuto, ripetendo una prodezza realizzata in campionato allo scadere del tempo.

Nasce da qui il detto “segnare in zona Cesarini”, utilizzato ancora oggi per indicare un gol all’ultimo minuto di gioco. Di Natale ieri sera, come tanti altri prima di lui, ha regalato tre punti alla nazionale emulando l’illustre predecessore.