Romario va in pensione!

Stavolta sembra proprio che l’avventura agonistica di Romario de Souza Faria sia giunta al capolinea. Ha promesso più e più volte di appendere gli scarpini al chiodo, ma poi la voglia di giocare ed il desiderio di raggiungere i 1000 gol in carriera lo hanno convinto a restare ancora sul rettangolo di gioco.

Ora ha 42 anni e nulla più da dimostrare: forse è il momento più opportuno per dare l’addio ad una professione che gli ha regalato molto, sin dall’esordio tra i professionisti con il Vasco da Gama nel lontano ’85. Da lì una serie di squadre si sono assicurate le sue altissime prestazioni sia in sudamerica che in Europa: PSV Eindoven, Barcellona, Flamengo, Valencia e Fluminense. Tentò addirittura l’avventura in Qatar, che non gli valse successi e allori, ma fior di quattrini nelle tasche: tre partite, nessun gol e ben 1,7 milioni di dollari in più sul conto in banca!

Può vantare anche un’esperienza nel soccer americano, con il Miami FC, ed una con l’Adelaide United, squadra australiana, per la quale giocava la domenica, tornando poi di corsa in Brasile, dove lo attendeva una squadra di serie C, per l’incontro del giovedì: dodici ore di fuso orario e due incontri a settimana per raggiungere più facilmente quota 1000!

Torta avvelenata per i calciatori iracheni

I problemi dell’Iraq purtroppo non finiscono con la guerra. Una popolazione martoriata ormai da più di un decennio da un conflitto che sembra non dover finire mai, aveva trovato la sua valvola di sfogo nel calcio.
Riecheggiano ancora nelle orecchie dei giovani iracheni le grida di giubilo quando l’arbitro sancì, lo scorso 29 luglio, la vittoria della propria nazionale nella coppa d’Asia, la prima della loro storia, contro la più quotata (e ricca) Arabia Saudita.

Ma purtroppo non è destino che i giovani dell’ex paese di Saddam Hussein possano vivere in pace, neanche tirando calci al pallone.
10 giorni fa la più antica squadra di calcio del Medioriente, l’Al Quwa Al Jawiya, ha subito un attentato, ma stavolta non dai terroristi di Al Qaeda, ma addirittura dai propri tifosi.

Josè Luis Chilavert: il portiere goleador

Grande portiere o fenomeno da baraccone? E’ l’enigma che ha accompagnato l’intera carriera di Josè Luis Chilavert, ritiratosi qualche anno fa dal calcio giocato, dopo un’intera vita passata a difendere una porta, ma non solo.

Un metro e ottantotto di altezza per quasi 100 chili, un fisico più vicino a quello di un lottatore che a quello di un giocatore di pallone, avrebbe potuto essere un buon centravanti di sfondamento, se solo suo fratello non lo avesse spedito in porta sin da piccolo, costringendolo a parare i suoi tiri.

Un ruolo accettato malvolentieri dal piccolo Luis, che però farà la sua fortuna nel corso degli anni a seguire, a cominciare dall’esordio nella serie B paraguaiana a soli 15 anni, con lo Sportivo Loqueno. In seguito una lunga serie di squadre si è assicurata le sue prestazioni sia in patria che all’estero (Guarani, San Lorenzo, Real Saragozza, Velez Sarsfield e Starsburgo) ed in ognuna ha lasciato un ricordo indelebile per l’abilità sul campo, ma anche per quel suo carattere difficile e polemico che lo rendeva spesso antipatico ai più.

Il disastro del Maracanà

Ci sono partite che restano impresse più di altre nelle menti e nel cuore di chi le guarda, definite “storiche” e ricordate anche a distanza di parecchi anni, raccontate ai propri figli e nipoti come qualcosa di incredibilmente straordinario. Nel bene e nel male.

Me ne vengono in mente diverse mentre scrivo e prometto di darne conto nelle puntate successive, ma questa volta la mia attenzione è rivolta ad una gara di cui molti avranno sentito parlare, e che forse nessuno tra i lettori ha avuto la possibilità di vedere.

Era il 16 luglio del 1950 e a Rio de Janeiro andava in scena quello che sarebbe passato alla storia come il “disastro del Maracanà”. Quella volta il Brasile era sicuro di vincere sia perché era realmente forte, il più forte visto fino ad allora, sia perché aveva la possibiltà di giocare in casa, davanti al suo pubblico, per il quale aveva fatto costruire lo stadio più grande del mondo, il tempio del calcio, capace di ospitare 160.000 spettatori.

Edmundo pazzo per il carnevale!

Cosa sarebbe il Brasile senza il calcio ed il carnevale? Difficile da dire perché sono da sempre i due elementi che caratterizzano maggiormante quella parte di mondo, come il tango e la Pampa per l’Argentina o i wurstel e la birra per la Germania.

Chi dice Brasile poi, dice allegria, che viene messa a mo’ di condimento in tutte le manifestazioni che riguardano quella magnifica terra. Allegria nel calcio, con quel modo di fare che incanta e fa innamorare, perché conta si vincere, ma conta molto di più far divertire la gente; allegria a maggior ragione nel carnevale, ormai famosissimo a livello mondiale, considerato da tutti come il più bello in assoluto.

E pallone e carnevale spesso e volentieri vanno a braccetto, sia per l’abitudine consumata che c’è da quelle parti di associare le squadre di calcio alle varie scuole di samba, sia per la presenza massiccia dei calciatori, che per niente al mondo rinuncerebbero ad assistere all’evento dell’anno.

Inzaghi, Sentimenti, Maradona: storie di calcio e di fratelli

Storie di fratelli calciatori e subito la mente va ai cinque Sentimenti che negli anni ’40-’50 facevano impazzire gli addetti ai lavori, costretti a “numerarli” per poterli riconoscere facilmente. E così Ennio divenne Sentimenti I, Arnaldo, Sentimenti II, Vittorio, detto Ciccio, Sentimenti III, Lucidio, detto Cochi, il più famoso di tutti, portiere indimenticato di Juventus e Lazio, Sentimenti IV, e Primo che a dispetto del suo nome divenne Sentimenti V.

Cinque fratelli, tutti calciatori e tutti di grande livello, un vero record per il calcio mondiale, seppure si faccia riferimento ad un’epoca in cui forse era più facile che il primo facesse da apripista per l’arrivo degli altri. Mai più si ripetè una favola simile, ma il calcio ci ha regalato negli anni altre coppie di fratelli arrivati a buoni livelli, a volte addirittura nella stessa squadra.

E’ il caso dei gemelli Filippini, Emanuele ed Antonio, che tanto bene hanno fatto giocando per anni soprattutto con la maglia del Brescia, ma anche dei gemelli Zenoni, frutto del vivaio dell’Atalanta.

Bob Malcolm senza patente: colpa dell’arbitro!

Ci può stare che uno alzi un po’ il gomito per festeggiare una vittoria o dimenticare una sconfitta, ci sta un po’ meno che lo stesso decida di mettersi al volante, pur sapendo di non essere in grado di arrivare a casa. Quello che proprio non ci sta è che tenti di giustificare il suo stato, dando la colpa ad un arbitro, che ha fischiato un gol a tempo scaduto a favore della squadra avversaria!

E’ quello che ha fatto Bob Malcolm, centrocampista del Queens Park Rangers, che lo scorso 27 dicembre non ha trovato di meglio da fare che parcheggiare la sua Range Rover in mezzo alla carreggiata, per poi addormentarsi ubriaco all’interno della macchina. Polizia giunta sul posto, classico test alcolico e ritiro immediato della patente. La colpa?

ero molto arrabbiato e deluso per il pessimo arbitraggio che avevamo avuto contro il Plymouth.

Ci credereste? Gli infortuni stupidi nel mondo del calcio

Beh, a raccontarle fanno veramente ridere: meglio delle barzellette di Totti o dello “Strunz” ripetuto all’infinito da Mr Trapattoni ai tempi del Bayern Monaco! Parliamo delle disavventure dei calciatori, degli incidenti più o meno gravi, non su un campo di calcio, ma nella vita quotidiana. Il Daily Star lo scorso anno li raccolse addirittura in una classifica, dove venivano elencati i più bizzarri, per una lettura che provocava ilarità dall’inizio alla fine.

Eh si, perché se è assolutamente normale per un calciatore rompersi una tibia, per l’intervento assassino di un avversario o stirarsi un quadricipite nel tentativo di raggiungere un pallone, risulta abbastanza grottesco pensare ad uno stop forzato a causa di un incidente domestico.

Certo i protagonisti ridono un po’ meno, ma immaginate Darren Barnard che cammina tranquillamente nella sua cucina e scivola sulla pipì del suo cane, procurandosi una frattura che lo ha tenuto fuori dai campi per 5 mesi! State già ridendo? Aspettate almeno di sentire il resto.

Nakata alla scoperta del mondo

Chi l’ha detto che la vita dei calciatori è segnata e, una volta appesi gli scarpini al chiodo, entrano come dirigenti nelle società?
Sono in molti a fare gli allenatori, gli osservatori, o altre figure dirigenziali, ma tanti altri si buttano nel sociale e decidono di restituire un pò di quel calore che hanno ricevuto dalla gente nell’arco della propria carriera.

Il primo a intraprendere la strada della solidarietà è stato Gianni Rivera, stella del Milan degli anni ’60 e ’70, e primo italiano a vincere il pallone d’oro.
Alla fine della sua carriera decise di iscriversi alla Democrazia Cristiana, di cui ne divenne esponente in Parlamento nel 1994, e di cui ancora fa parte (ma sotto il nome di Margherita) presso il Parlamento Europeo.

Stessa strada l’ha scelta un’altra stella del Milan, il liberiano George Weah. Uno dei pochi calciatori africani a preferire la propria nazionale a quella più prestigiosa della Francia. Ha confermato l’amore per la sua terra entrando in politica al suo ritiro, e partecipando alle ultime elezioni per il presidente della Liberia, perse contro l’economista Ellen Johnson-Serleaf.

Da Tardelli a Rozzi: la scaramanzia nel calcio

Corna e cornetti, ferri di cavallo ed amuleti di ogni genere: non siamo al festival anti-jella, ma in qualunque spogliatoio di calcio che si rispetti. O credevate forse che le partite si vincano solo comprando fior di giocatori?

E allora chiedetelo ai vari protagonisti della domenica, che si esibiscono in veri e propri riti scaramantici per attirare la buona sorte. Nessuno ne parla, ma basta osservare calciatori, allenatori e persino presidenti, per rendersi conto che certi gesti ripetuti all’infinito altro non sono che pura superstizione.

Dalla barba incolta di Amadei, alla scarpa sinistra di Zambrotta infilata sempre per prima, dall’abitudine di Sivori e Maradona di dirigersi palla al piede verso la porta, prima dell’inizio della partita, per poi calciare senza portiere, ai due fili d’erba strappati e poi masticati da Nicola Caccia: sono solo alcuni dei riti che i calciatori non dimenticherebbero mai di compiere.

Il Real Madrid vince anche nella raccolta dei rifiuti!

Trenta volte Campione di Spagna, un record assoluto in Europa, 9 Coppe dei Campioni, 17 Coppe del Re, una Coppa della Liga, 2 Coppe Uefa, una Supercoppa Europea e 3 Coppe Intercontinentali: è questo l’invidiabile palmares del Real Madrid, club spagnolo che si è sempre distinto a livello internazionale per i suoi successi e per i grandi campioni che è riuscito a portare alla sua corte.

Gioca al Santiago Bernabeu, stadio che è stampato nella memoria dell’Italia sportiva, essendo stato palcoscenico della terza vittoria Mondiale del 1982. Da allora è stato ristrutturato due volte, seguendo progetti che lo rendevano sempre più funzionale e accogliente ed ora è il fiore all’occhiello di questa società, con settori da visitare in veri e propri tour organizzati. Uno stadio a misura di tifoso, dove si può assistere tranquillamente ad una gara senza correre il rischio di trovarsi coinvolti in incidenti.

Da prendere come esempio per serietà ed organizzazione, che costituiscono le basi per un successo che prosegue ormai da anni, il Real Madrid è riuscito a coinvolgere i suoi tifosi in un’iniziativa veramente lodevole che prevede il riciclaggio dei rifiuti all’interno dello stadio.

Classifica dei trasferimenti record

La sessione di mercato di Gennaio, che prometteva grandi colpi, si è rivelata meno eccitante del previsto, almeno fino ad ora. Amauri sembra proprio destinato a restare a Palermo almeno fino a Giugno, stessa cosa per Mellberg che a detta del suo allenatore, per ora non raggiungerà la Juve, a differenza di Sissoko, che ha già pronto il biglietto per Torino. Chi si aspettava Ronaldinho a Milano, sponda Inter o Milan poco importa, sembra che dovrà ancora aspettare , e chi cercava rinforzi in avanti, come il Torino, dovrà accontentarsi al massimo di Caracciolo, che potrebbe vestire granata nel fine settimana. Sembrano lontani i tempi di trasferimenti milionari, adesso si parla spesso di cifre esorbitanti, ma che alla fine restano nei portafogli. Certamente questa è una fortuna, dato che spendere milioni e milioni di euro per un giocatore sembravano a molti, compreso il sottoscritto, uno spreco inutile. Ma vediamo quali sono gli acquisti più costosi della storia del pallone:

Dalla mitraglia di Batistuta alle capriole di Martins

Al di là dei milioni spesi, dei campioni comprati, delle orde di tifosi che invadono lo stadio, della moviola, delle polemiche che impazzano sulle pagine dei giornali… al di là di tutto, al di sopra di tutto, c’è un solo gesto, l’unico che conta veramente, l’unico capace di infiammare i cuori e far esplodere la felicità collettiva: il gol!

C’è chi la butta dentro raramente e chi è abituato a gonfiare la rete, ma tutti, proprio tutti, dopo ogni gol esplodono in un’esultanza liberatoria e coinvolgente.

Ognuno ha un suo modo di festeggiare il gol fatto, una specie di segno distintivo, un marchio di fabbrica assolutamente personale. E se una volta il massimo della particolarità era correre sotto la curva, magari togliendosi la maglia, negli ultimi anni è sempre più frequente vedere esultanze nuove e divertenti da ripetere dopo ogni rete. Esultanze semplici come quella di Andrea Pirlo che bacia la fede o quella di Ronaldo a braccia aperte o ancora quella di Kakà, che alza gli occhi e le braccia al cielo in segno di ringraziamento verso Dio, ma anche esultanze costruite e bizzarre.

E’ Rooney il brutto anatroccolo

Chi l’ha detto che i calciatori sono tutti forti, ricchi, e soprattutto belli? Mentre tutte le ragazzine del mondo perdono la testa per le vicende di Beckham e della Posh Spice, in Inghilterra le donne si domandano chi, tra i principi azzurri del 2000, tanto principe azzurro non è.
E la risposta è stata alquanto sorprendente.

I pareri raccolti dal sito web www.thepeoplesclub.com hanno appurato che il più brutto calciatore al mondo è l’inglese Wayne Rooney, che ha scalzato la poco invidiata concorrenza di “castoro” Ronaldinho e di “Apache” Tevez. I due sudamericani, considerati tra i calciatori più brutti al mondo (per Tevez c’è da dire che è stato sfigurato da bambino con l’olio bollente) sono stati superati sulla scorta del successo del cartone animato della Pixar “Shrek“, che ha dato il soprannome al 22enne inglese, e che ha contribuito a farlo diventare, suo malgrado, ancora più famoso.