Sebastiano Rossi: record di imbattibilità, ma che carattere!

Uno come lui farebbe comodo al Milan attuale, continuamente alle prese con problemi di numeri uno. Ed in effetti, dopo il suo addio pochi hanno saputo dimostrare di essere degni di difendere la porta rossonera. Stiamo parlando di Sebastiano Rossi, portiere tanto forte quanto controverso, con quel suo modo di fare che spesso indispettiva pubblico e critica.

Iniziò la sua carriera nel Cesena, dopo aver avuto negli anni dell’adolescenza una spiccata propensione per il basket, tanto da sfiorare l’ingaggio in A1. Nei primi anni da professionista calcò i campi della serie C con Forlì, Empoli e Rondinella Marzocco, fino al 1986, quando il Cesena lo richiamò in casa per farlo esordire in A l’anno successivo.

Ma fu il 1990 l’anno del grande salto con la cessione al Milan e l’iniziò della carriera stellare. Una stagione da panchinaro dietro l’inamovibile Pazzagli e poi finalmente la maglia numero uno per sei stagioni consecutive, in cui Seba vinse praticamente tutto in Italia ed in Europa: quattro scudetti, di cui tre consecutivi, una Coppa dei Campioni, una Supercoppa Europea e tre Supercoppe italiane.

Lo Stadio delle Alpi diventerà la casa della Juventus

Chiedo scusa agli affezionati lettori che il giovedì si aspettano di trovare su queste pagine la storia dei numeri uno, ma l’attualità stravolge il programma, facendo slittare a domani la rubrica settimanale. Oggi ci occuperemo dello Stadio delle Alpi, che diventerà la casa della Juventus a partire dal 2011.

E’ di ieri infatti la notizia dell’approvazione in consiglio di ammnistrazione di un progetto di rifacimento dell’impianto torinese, che prevede una spesa pari a 105 milioni di euro.

Il club bianconero da anni puntava a costruire uno stadio di proprietà, ma finora si erano sempre trovati ostacoli di ordine sia economico che burocratico. Ora sembra che l’affare vada in porto, soprattutto grazie all’intervento di uno sponsor, che a lavori ultimati darà anche il nome allo stadio.

Leonessa: 30 sconfitte in 30 partite, ma è calcio vero!

Dopo aver parlato del calcio femminile, ci occupiamo oggi di quello dilettantistico, con una storia che fa sorridere, dimostrando però che, lontano dal clamore e dalle luci della ribalta, c’è ancora uno sport che appassiona e diverte. Alla fine della lettura vi verrà spontaneo pensare “chi glielo fa fare?”, ma non potrete far a meno di ammirare chi non scende in campo solo per vincere.

In effetti quelli della “Leonessa” sono poco abituati a portare a casa i tre punti, anzi, hanno un record di 30 sconfitte su 30 partite giocate, con una media gol subiti che supera gli otto a partita: 251 le rete incassate a fronte delle appena 5 messe a segno.

E pensare che lo scorso anno la seconda squadra di Altamura militava in serie D, ma dopo la retrocessione in Eccellenza i dirigenti hanno preferito abbandonare la barca, lasciando la squadra in mezzo ad una tempesta, soprattutto organizzativa.

Lazio-Inter 4-2: la partita del secolo secondo gli interisti!

La partita del secolo? Secondo i tifosi interisti è Lazio-Inter 4-2 del famigerato 5 maggio 2002 (almeno fino a ieri, perché stamattina la classifica è magicamente cambiata)! Sembra strano eppure sul sito cento.inter.it, creato appositamente dalla società nell’anno del centenario, è proprio quella la gara più votata. Uno scherzo di cattivo gusto dei tifosi avversari, magari invidiosi del primo posto attuale in classifica? Probabilmente si, visto che la partita in questione è destinata si ad essere ricordata, ma non dagli interisti, che in quell’occasione vissero una delle pagine più tristi della loro storia.

Era l’ultima giornata del campionato numero cento e l’Inter si apprestava a vincere lo scudetto, dopo 13 anni di astinenza. Le premesse per la festa finale c’erano tutte e mancava solo l’ostacolo Lazio per salire sul tetto d’Italia. La classifica recitava Inter 69, Juventus 68, Roma 67, ma le insiguitrici non preoccupavano i nerazzurri, forti del vantaggio (seppur esiguo) e dell’ambiente favorevole trovato in quel di Roma.

I tifosi laziali erano apertamente schierati per la squadra di Hector Cuper e poco importava se con una sconfitta la Lazio avrebbe dovuto rinunciare all’accesso in Coppa Uefa: quello che contava era non veder vincere di nuovo la Juventus e impedire che la Roma si qualificasse per la Champions League. Quel giorno l’Olimpico era vestito di nerazzurro, le due tifoserie erano gemellate e pronte a festeggiare insieme la vittoria dell’Inter.

La Roma diventa “americana”?

Che il calcio sia un business non lo scopriamo certo oggi, ma che una squadra italiana possa suscitare l’interesse di un grande magnate americano è storia abbastanza recente. I diretti interessati smentiscono (toh, che novità!), ma sembra che l’affare che porterà al cambio di proprietà in casa Roma sia molto più che una semplice voce di corridoio.

Domenica scorsa, in un breve comunicato, la società faceva sapere di non aver ricevuto alcuna offerta per l’acquisizione del pacchetto azionario, ma negli affari, si sa, è necessaria sempre una buona dose di scaramanzia. Del resto la famiglia Sensi per bocca dell’amministratore delegato, Rossella, ha sempre mostrato una certa allergia al discorso “cessione del gioiello di famiglia”.

Ma le voci si rincorrono e non si tratta più di un’idea campata in aria, ma di un’offerta precisa, che sta per essere messa sul tavolo della società giallorossa: 250 milioni di euro per rilevare la società ed un programma che prevede la costruzione di uno stadio di proprietà, lo sfruttamento del marchio Roma a livello mondiale e l’adeguamento della rosa in vista di un futuro ad altissimo livello.

Inter: la quiete dopo la tempesta, ma quanto durerà?

Aria pesante in casa Inter. L’eliminazione dalla Champions League ha portato dietro di sé uno strascico di malumori e polemiche difficili da superare. Mancini non aveva certo contribuito a rasserenare l’ambiente con l’uscita infelice subito dopo la gara con il Liverpool ed era toccato a Moratti rimettere le cose a posto, convocando il tecnico e convincendolo a tornare sui suoi passi.

Il dubbio è lecito e ne avevamo già parlato: per quanto ancora Mancio sarà l’allenatore dell’Inter? L’impressione è che il divorzio sia più vicino di quanto si creda e che, subito dopo l’ultima gara di campionato e la probabile conquista delo scudetto, il tecnico faccia le valigie.

E’ ciò che si augura anche una parte dello spogliatoio, ma mai avremmo potuto pensare che a guidare il plotone dei ribelli fosse proprio Zatlan Ibrahimovic, trattato sempre con i guanti bianchi e difeso a spada tratta dall’allenatore, persino dopo la sconfitta nella gara di andata contro il Liverpool, quando tutti erano d’accordo nell’indicare lo svedese come uno dei peggiori in campo.

Ruud Gullit: il tulipano nero

Treccine rasta, sorriso smagliante e battuta pronta ed efficace: è così che si presentava Ruud Gullit al calcio italiano, quando venne acquistato dal Milan di Berlusconi nel 1987. Era l’era di Arrigo Sacchi e del Milan che faceva man bassa di successi in Italia ed in Europa, con una squadra di campioni assoluti, guidati dal fantastico trio olandese.

Il “tulipano nero” proveniva dal Psv Eindoven dove aveva contribuito alla conquista di due campionati olandesi con 68 presenze e 46 reti, mettendosi in mostra fino a conquistare il Pallone d’Oro. Con queste credenziali arrivò nel club rossonero, pronto a dimostrare la sua grandezza assoluta come regista della squadra e punto di riferimento in mezzo al campo al fianco del connazionale Rijkaard. Possente fisicamente, esplosivo nella falcata, inarrestabile palla al piede, prediligeva il ruolo di trequartista, ma si adattava a giocare anche da seconda punta.

Fu subito amore con la curva rossonera e fu subito successo in campionato, nonostante l’avversaria di quegli anni si chiamasse Napoli ed il suo alter ego azzurro fosse un certo Maradona.

Amarcord Lucarelli, esordio Cuper e riscatto Tiago: le storie della domenica

Giornata di grandi emozioni oggi a Livorno, con il passato che ritorna sia in campo che in panchina. Chissà che effetto farà vedere quella che per anni è stata una bandiera degli amaranto, vestire una maglia diversa, dopo aver proclamato per lungo tempo il suo amore eterno per i colori del club toscano. E’ la storia di Cristiano Lucarelli, bomber di razza, livornese nella pelle e nelle ossa, tanto da giurare che mai avrebbe abbandonato la sua squadra del cuore.

Così non è stato e le sirene straniere lo hanno convinto ad accasarsi presso lo Shakhtar, dove avrebbe avuto la possibilità di mostrare finalmente il suo valore anche a grandi livelli (leggi Champions League). Ma i sogni sono rimasti nel cassetto e, subito dopo l’eliminazione della squadra ucraina, Cristiano ha cominciato a sentire la nostalgia per il Bel Paese, chiedendo di essere rispedito al mittente. La destinazione scelta, però, non è stata la ridente Toscana, ma l’Emilia, sponda Parma, e la curva amaranto non ha gradito.

Appena rientrato lo scorso gennaio ha già avuto modo di pregustare i fischi ed i cori che i suoi ex tifosi gli avevano riservato. A distanza, certo, ma non abbastanza da non poter essere sentiti. Oggi è il giorno della verità e chi si aspetta appalusi e ovazioni per la bandiera, che bandiera non è più, resterà fortemente deluso. Il minimo che può aspettarsi dalla trasferta in terra toscana è che gli diano del traditore, ma comunque vada la “sua” curva sarà tutta per lui.

Gaetano Scirea: un esempio di lealtà sportiva

Se mai c’è stato uno per cui bisognava ritirare la maglia, era Gaetano Scirea, grandissimo calciatore e grandissima persona.

Parole di Enzo Bearzot che ha conosciuto bene l’uomo prima che il campione. Gaetano era un mito e non lo scopriamo certo adesso, a quasi vent’anni dalla sua prematura scomparsa. Amato e apprezzato da tutti, juventini e non, era un vero esempio di lealtà sportiva e di amore per la professione. Questo è lo striscione che gli dedicò la curva romanista la domenica successiva alla sua morte e, se considerate la rivalità storica tra Juve e Roma, avrete la misura di quanto Gaetano fosse rispettato.

Mosse i primi passi da professionista nell’Atalanta, ma il suo era un destino già scritto e non poteva mancare l’interesse dei grandi club nei suoi confronti. Arrivò la Juventus e Scirea finì in bianconero, grazie all’ottimo rapporto che legava le due società. Fu chiamato a sostituire quello che fino ad allora era considerato un mito nella difesa della Juve, Sandro Salvadore, un difensore rude e arcigno, tipico di quegli anni.