Amauri merita la maglia azzurra?

Ci risiamo. Torna d’attualità il caso Amauri-nazionale, destinato a riempire le pagine dei giornali e le bocche di addetti ai lavori e appassionati per chissà quanto tempo ancora. La questione comincia a diventare pesante e se non si troverà una soluzione rapida, il brasiliano rischia di diventare antipatico a molti.

Eh si, perché, finché giocava nel Palermo, il ragazzotto lanciava messaggi d’amore alla nazionale italiana, chiedendo di essere naturalizzato al più presto per poter rispondere ad una eventuale convocazione. Ed i rosanero lo accontentarono, avviando le pratiche per la richiesta del passaporto. Poi sono arrivate le sirene bianconere e con esse l’interesse di Dunga, ct del brasiliano, che da buon conoscitore del calcio italiano deve aver pensato “se piace alla Juve, vuol dire che vale”. Risultato: Amauri potrebbe giocare nella nazionale verdeoro, con tanti saluti alla maglia azzurra.

Intanto Lippi lo ha “convocato”, nel senso che gli ha chiesto senza mezzi termini di decidere su quale sponda del fiume sedersi ad aspettare una chiamata, mentre la Juve, su richiesta della Figc, si dà da fare per sveltire le pratiche per il passaporto. E lui che fa? Continuate a leggere e valutate voi se vale la pena correre dietro ad uno che si lascia andare a simili dichiarazioni.

Carlos Dunga sponsorizza i suoi campioni

E’ alla guida di una delle squadre più forti del mondo, consapevole di non avere mai problemi di formazione, tanti sono i campioni su cui può contare. A lui il compito di trascinare il Brasile verso la qualificazione ai mondiali del 2010, ma c’è un altro obiettivo che non vuole assolutamente mancare: l’Olimpiade di Pechino.

Lui è Carlos Dunga, uno dei più forti centrocampisti brasiliani degli anni ’80, noto da queste parti per aver vestito la maglia della Fiorentina.

Ora sta vivendo la sua sfida personale sulla panchina della selezione verdeoro, per dimostrare che ancora oggi il Brasile può dire la sua in campo internazionale. In questi giorni si sta godendo gli ultimi sprazzi di vacanza, in attesa di buttarsi a capofitto nell’avventura estiva. Lo ha raggiunto la Gazzetta dello Sport, e l’intervista che ne è scaturita somiglia molto ad una sponsorizzazione dei suoi campioni.

Ronaldinho alle Olimpiadi!

Il suo nome ha scaldato le pagine dei giornali per gran parte dell’inverno. Fiumi di inchiostro sono stati spesi intorno al calciatore considerato fino a qualche tempo fa il migliore del mondo, ma alla fine Ronaldinho è rimasto dov’era, per la delusione sua e di chi aveva contato sul suo apporto per la seconda parte della stagione.

Da allora solo poche apparizioni in maglia blaugrana per il talento brasiliano, afflitto da tempo da problemi muscolari, non sempre accettati da parte della società, che vedeva in questi solo un capriccio.

Fatto sta che Dinho nell’ultima parte della stagione ha fatto l’infortunato di lusso, lasciando che il Barcellona naufragasse tra prestazioni deludenti e contestazioni ripetute. Nel frattempo l’interesse dei grandi club per il brasiliano sembra essere sceso vertiginosamente, sia per il prezzo esagerato, sia per le voci sulle sue condizioni fisiche. Sarà per questo che ora Ronaldinho chiede di giocare, per dimostrare di essersi lasciato alle spalle i guai che ne hanno condizionato l’ultima stagione. E quale occasione migliore per mettersi in mostra, se non l’Olimpiade del prossimo mese?

Pato: la verginità, il matrimonio, i soldi

Ormai non può più considerarsi un volto nuovo e dalla prossima stagione nemmeno più un esordiente. A vederlo giocare, Alexandre Pato dimostra più dei suoi 18 anni, anche se la faccia rimane quella ingenua e pulita di un ragazzino.

Ma fino ad un certo punto. Su alcune cose il Papero ha le idee ben chiare e, come tutti i ragazzi della sua età, gli ormoni in fermento. Ammette che il suo idolo in campo e fuori è il connazionale e compagno di club Kakà, tranne che per un piccolo particolare:

Vergine al matrimonio? Non scherziamo! Sono evangelico, ma non seguo alla lettera il Vangelo.

Gordon Banks: una parata per la storia!

Quella parata su Pelé fu la migliore della mia carriera. Non immaginavo sarebbe diventata così famosa. Anzi, al momento non mi accorsi neppure di quel che avevo fatto.

Era il 1966. L’Inghilterra ed il Brasile incrociavano le loro strade nel cammino che conduceva alla seconda fase del Mondiale. Tra i verdeoro giocava un certo Pelè, già due volte campione del mondo. Ma l’Inghilterra di quell’anno era costruita per fare la migliore figura possibile davanti al pubblico di casa, alla ricerca di quel titolo che non aveva mai vinto.

In porta giocava Gordon Banks, portiere trentunenne appena ceduto dal Leicester allo Stoke City, a causa di un capriccio del suo secondo, Peter Shilton, che fece includere una clausola sul contratto, che obbligava il club a schierarlo titolare. Banks si ritrovò fuori squadra, nonostante fosse il miglior portiere inglese di quei tempi, forse di tutti i tempi, nonostante fosse il numero uno della nazionale, nonostante avesse ancora molto da dare al calcio.

Ronaldo non sarà più il Fenomeno: parola di Pelè!

E’ un peccato, ma non credo che Ronaldo tornerà a giocare come prima.

A parlare è Pelè, intervistato durante la cerimonia in cui è stato eletto ambasciatore della Coppa Libertadores. Fine della carriera dunque per il Fenomeno? A sentire il tre volte campione del mondo sembrerebbe proprio di si, soprattutto in considerazione dei tanti infortuni subiti in passato e dell’età non più giovanissima del rossonero.

Ricordo che dopo il primo infortunio, nel 2000, andai a trovarlo: recuperò e disputò un Mondiale straordinario appena due anni più tardi. La medicina ha fatto progressi, ma è anche vero che lui ha qualche anno in più. Mi piacerebbe rivederlo al 100%, ma purtroppo credo che le cose andranno diversamente.

In realtà i guai infiniti di Ronaldo iniziarono ben prima dell’episodio raccontato da Pelè. Era il 1998 quando rientrò dal Mondiale di Francia con una tendinopatia rorulea che necessitava di un’operazione. Ma i tempi si allungavano e lui continuava a sottoporre il ginocchio a sforzi e carichi di lavoro, fino a quando il tendine subì una parziale lacerazione.

Garrincha: il re del dribbling

Manoel Francisco Dos Santos, per tutti semplicemente Garrincha, è stato uno dei calciatori brasiliani più forte di tutti i tempi. Deve il suo soprannome al problema fisico che lo affliggeva sin da bambino, quando una malattia lo rese zoppo, con una gamba nettamente più corta dell’altra. Chiunque al suo posto avrebbe avuto difficoltà persino a camminare, ma la sua determinazione gli permise di conquistare il mondo con le sue giocate magiche ed i suoi dribbing irresistibili.

Nato in una famiglia povera di Pau Grande, iniziò a giocare a pallone nei campetti sterrati della città, dove oltre agli avversari, doveva affrontare lo scetticismo con cui veniva visto a causa delle sue gambe storte. Il Botafogo fu la prima squadra a scommettere su di lui, grazie a Gentil Cardoso, che lo aveva visto giocare e lo inserì subito in prima squadra. Con questa maglia resterà per dodici stagioni, vincendo tre campionati di Sao Paolo e due Carioca e mettendo a segno per 230 reti.

Il dribbing era il suo pezzo forte: il difetto fisico, che gli avrebbe dovuto impedire persino di camminare, si rivelò la sua arma vincente. Ancora oggi capita di sentir dire “un dribbling alla Garrincha”, ma difficilmente quel gesto può essere emulato. Finta verso sinistra, accellerazione, passo a destra, ancora accellerazione e conversione al centro: solo a descrivere il movimento fa girare la testa, figuriamoci come restavano i suoi avversari nel vederlo scappare!