Nel processo alla Gea è arrivato il momento delle tesi difensive: reggetevi forte, perché qualcuna delle vostre certezze potrebbe traballare pericolosamente. Finora avevamo avuto l’immagine di un Moggi protagonista e padrone assoluto del calcio italiano, capace con la sua influenza di mettere le mani su tutto, al punto da condizionare risultati di partite e campionati.
Per le sue malefatte molti hanno pagato, in particolare la Juventus, il club che si serviva delle sue “prestazioni”, giudicate troppo spesso discutibili.
Ed ora è il momento dei suoi avvocati difensori, che si prendono la scena per quattro ore filate e ci descrivono un Moggi completamente diverso da come lo immaginavamo, non un santo, ma nemmeno un “Belzebù”. Leggete alcuni passi della difesa e fatevi la vostra idea, sebbene sia difficile a questo punto della vicenda cambiare opinione su un personaggio che è stato fatto a pezzi (giustamente?) sulle pagine dei giornali e nelle dichiarazioni degli addetti ai lavori.
Non sarà un Fiorello per simpatia, neanche un San Luigi Gonzaga, ma sicuramente non è quel Belzebù che è stato descritto. E’ solo uno che ha pagato il fatto di conoscere tutto e tutti di questo ambiente e che da questo ambiente è uscito grazie alle bugie di procuratori invidiosi dei successi altrui, come Antonio Caliendo, Stefano Antonelli e Franco Baldini. Loro si che hanno vinto.
Ricordiamo che per la vicenda Gea, Moggi rischia sei anni di reclusione, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’illecita concorrenza, sempre ammesso che in aula i suoi avvocati (Matteo e Marcello Melandri) non ne riescano a dimostrare l’estraneità ai fatti. E per far pendere la bilancia dalla propria parte, i difensori fanno degli esempi:
Fresi si convinse a lasciare la Juve per il Perugia solo dopo aver incassato ‘cash’ un miliardo di lire. Amoruso, invece, ne prese ben 14 senza disputare neppure una stagione esaltante in bianconero e quando andò al Perugia, perché il tecnico Ancelotti non aveva bisogno di lui, pretese di avere lo stesso trattamento economico. Nella Juve di quegli anni la Gea c’entra ben poco, se si pensa che sono stati appena tre gli atleti finiti in bianconero che erano legati a quella società di procuratori sportivi.
E allora da dove escono tutte le accuse rivolte a Moggi negli ultimi anni? Per gli avvocati è solo una questione di invidia:
La Juve di Moggi, Giraudo e Bettega, spendendo poco e con oculatezza, riuscì a vincere molto sul campo, consentendo agli azionisti di incassare qualche denaro: sapeva valorizzare i suoi giovani, prestati a club di fascia inferiore per consentire loro di farsi le ossa e poi ripresi, e imponeva un certo comportamento a tutti i tesserati. Ecco perché a Miccoli fu consigliato di togliersi l’orecchino. Alla Juve certi atteggiamenti non erano consentiti.
La difesa ha espresso le proprie ragioni, ora sta a voi valutare e decidere a quale versione credere. Certo è che Moggi non è un santo, ma forse in tutta questa situazione non doveva essere il solo capro espiatorio.