Capo chino, volto scuro e neanche un mezzo sigaro da girare e rigirare tra le dita per allentare la tensione. E’ questa l’ultima immagine del Marcello Lippi allenatore al termine del mondiale sudafricano, ben diversa da quella esibita in quel di Berlino quattro anni prima. Le minestre riscaldate non sempre sono gustose e Marcello Lippi lo sapeva ancor prima di gettarsi nella seconda avventura sulla panca dell’Italia. E’ andata come è andata (eliminazione nella fase a gironi), ma a distanza di un anno il toscanaccio è pronto a rimettersi in gioco, nonostante l’ultima cocente delusione:
Lì per lì è stato veramente tremendo. Una pagina tra le più sofferte delle mia carriera. Ma piano piano sta scemando. Comunque un altro inverno a casa a non far niente non lo faccio. Tornerò ad allenare, preferibilmente una nazionale in vista di Brasile 2014.
Questo il Lippi-pensiero ai microfoni del Tg1, in un’intervista che tocca anche altri temi, come quello delle cifre stratosferiche che circolano intorno ai nomi di colleghi (vedi Villas Boas, ad esempio):
Ci sono tre maniere di fare calcio: quello dei mecenati come Abramovich o gli sceicchi che spendono soldi senza grande giustificazione; poi gli imprenditori che entrano nel calcio e vogliono fare profitto e quelli che invece investono sui giovani.
Questo non significa però che i presidenti non debbano affidarsi ad allenatori capaci e quindi spesso esosi, perché il ruole del tecnico è di fondamentale importanza:
In passato si è detto con semplicità che conta solo il 10 per cento. Invece è giusto dare un riconoscimento alla categoria.
E lui i suoi riconoscimenti li ha avuti, sia da allenatore di club che da tecnico della nazionale italiana. Così come si è beccato la sua bella dose di critiche allorché gli azzurri sono tornati a casa con le ossa rotte dal mondiale in Sudafrica. Ora lo attende una nuova avventura, con la speranza che possa ancora dimostrare quanto sia importante l’allenatore nei risultati di una squadra.