Tragedia, massacro, olocausto: così titolavano i giornali italiani il 30 maggio del 1985, all’indomani di quella che verrà ricordata per sempre come la strage dell’Heysel. Titoli che potrebbero far pensare ad un incidente ferroviario, ad un maremoto, ad un attacco terroristico e che invece servivano a commentare una “semplice” partita di calcio trasformatasi in un eccedio. Juventus e Liverpool si ritrovavano a Bruxelles per l’atto conclusivo della finale di Coppa dei Campioni.
I bianconeri non avevano mai messo le mani sulla Coppa, pur avendo disputato due finali (nel ’73 contro l’Ajax e nell’83 contro l’Amburgo, entrambe perse per 1-0), mentre il Liverpool aveva già vinto la massima competizione europea a livello di club per ben 4 volte (l’ultima proprio l’anno precedente contro la Roma). I presupposti per una finale degna di questo nome c’erano tutti, ma un’ora prima del fischio d’inizio accadde quello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: i tifosi dei Reds presero a spingere verso il settore Z dello stadio, sfondando le reti di recinzione e travolgendo i supporters bianconeri.
Quel che accadde di lì in poi si può raccontare con i termini utilizzati per una battaglia, con muretti crollati sulla folla, tifosi che cadevano a terra e venivano inevitabilmente schiacciati da chi non aveva altra via di fuga, volti sanguinanti, corpi esanimini, barelle ed ambulanze sul terreno di gioco. Alla fine si conteranno 39 vittime e 370 feriti, mentre la Uefa decideva che si doveva giocare comunque.
Una gara surreale, conclusasi con la vittoria della Juventus per 1-0, grazie al rigore (inesistente) messo a segno da Platini al minuto numero 58. Feste in campo e sugli spalti, giro di campo con la coppa sollevata al cielo, volti sorridenti per quel trofeo mai conquistato prima di allora.
Fu giusto giocare quella partita? I giocatori erano a conoscenza della situazione quando misero piede in campo? Perché non si riuscì ad evitare il contatto tra le due tifoserie? Domande che ancora oggi, a 25 anni di distanza, non trovano risposta, mentre le famiglie delle 39 vittime ancora piangono i propri cari partiti alla volta di Bruxelles per assistere ad una gara di calcio.
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