E’ sempre difficile commentare un tragico fatto di cronaca come quello avvenuto ieri cercando di essere completamente obiettivi.
La morte di Gabriele Sandri, tifoso laziale, ucciso con un colpo di pistola da un poliziotto della Polstrada in una situazione ancora da chiarire, ha fatto nuovamente sprofondare il mondo del calcio nel caos, a soli 9 mesi di distanza dall’omicidio dell’ispettore Filippo Raciti durante gli scontri tra tifosi del Catania e del Palermo.
Cosa significa questo? Forse che tutte le misure ed i provvedimenti presi finora dai governi per arginare il fenomeno ultras si sono rivelati dei palliativi?
L’unica certezza che oggi abbiamo è la forte idiosincrasia di buona parte delle tifoserie verso le forze dell’ordine, in un crescendo di violenze che, francamente, mette paura. Vedere coalizzarsi insieme tifoserie storicamente avverse per andare contro Polizia, Carabinieri o i media è un segnale che deve far riflettere attentamente.
L’impressione è che la morte di questo povero ragazzo sia solo un pretesto per sfogare la propria rabbia contro il sistema Stato, rappresentato dagli agenti, in un periodo in cui il malcontento verso le istituzioni ha toccato il livello più alto degli ultimi anni.
Fermare ieri il campionato, pur se parzialmente, è stato un atto di debolezza, che comunque non è servito ad evitare gli scontri. Chi cerca similitudini tra la morte di Sandri e quella di Raciti cade in errore: la morte è sempre un evento tragico, indipendentemente da come sopraggiunge, ma è doveroso ricordare che Raciti fu ucciso fuori dallo stadio e quel giorno cadde di venerdì, così ci furono quasi 24 ore di tempo per prendere una decisione sul blocco del campionato. Ieri, invece, tutto è avvenuto in maniera repentina e nebulosa, con le voci che si rincorrevano senza conoscere l’esatta dinamica dei fatti e con i tifosi già per la strada o dentro gli stadi; fermare tutto sarebbe stato un provvedimento avventato.
La domanda che tutti si pongono è: “Cosa fare adesso?“. Fermare il campionato per un po’ probabilmente non servirebbe a molto, così come il minacciato blocco delle trasferte per le tifoserie, che verrebbe raggirato in qualche modo.
Inasprire i provvedimenti? Certezza della pena? Ricorrere al famigerato “modello inglese”? Certamente c’è bisogno di un segnale forte da parte delle istituzioni; sarebbe inoltre auspicabile cercare un dialogo con quei tifosi cosiddetti “sani”, per trovare insieme una medicina che curi definitivamente questo calcio italiano malato.
Addio Gabriele, speriamo tu sia l’ultima vittima innocente di un calcio che fu.
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